mercoledì 3 gennaio 2018

La "teologia del Capodanno". Secondo Dio


Ad ogni passaggio di anno è ovvio pensare al tempo che passa. Ci si pensa sempre, ma al primo giorno di un anno nuovo ci si pensa di più. Quando l’uomo fa questo mette in atto una filosofia della storia; quando lo fa il cristiano si sviluppa una teologia della storia, semplice o elaborata che sia. La Chiesa ha pensato da sempre a questa “teologia del Capodanno”, come potremmo chiamarla, con l’idea che il tempo che passa non è inutile perché esiste una teologia della storia, una visione della storia non dal punto di vista nostro ma dal punto di vista di Dio.
Questo è un punto in cui oggi il cristianesimo è debole rispetto al passato. Non sembra che in giro ci siano segni di una teologia della storia come quella del De civitate Dei di Sant’Agostino. Oppure circolano teologie della storia che però chiudono Dio nella storia anziché aprire la storia a Dio. Il punto centrale, alla fine di tutti i discorsi, è proprio questo.
Un esempio ancora molto attuale, nonostante la sua età piuttosto antica, di una visione di questo genere è la teologia della storia di Gioacchino da Fiore. Questo monaco benedettino sosteneva alla fine del XII secolo che all’Età del Padre e a quella del Figlio sarebbe succeduta l’età dello Spirito. Superata la “lettera” del Vangelo, la forma, la struttura, l’esteriorità, la dottrina, la legge, di cui Cristo stesso sarebbe espressione, si sarebbe aperta la fase di una comunità universale animata direttamente dallo Spirito e libera da prescrizioni, regole e tutele. E’ il sogno gnostico di una umanità maggiorenne.
La teologia della storia di Gioacchino animò l’azione dei francescani “spirituali” contro cui dovette lottare San Bonaventura, e poi tutti i movimenti rivoluzionari e millenaristi fino ai nostri giorni. Anche oggi molti pensano ad una Chiesa solo spirituale e non istituzionale, solo pastorale e non dottrinale, animata dallo Spirito e non dal Verbo, incentrata sulla legge nuova contro la legge antica.
Questi movimenti tuttora presenti e vivaci, nonostante puntino sullo spirituale in effetti mondanizzano la fede cristiana. Sembra che aprano la storia a Dio ed invece la chiudono. Trasformano il futuro in utopia concreta e tendono a realizzare la salvezza già qui sulla terra.
Dopo il Concilio Vaticano II tendenze di questo tipo si sono fatte molto presenti nella Chiesa cattolica ed ora sembrano letteralmente dilagare. Partendo dal superamento della struttura nello spirito, criticano ogni teologia politica, accusandola di prostituire lo spirito alla lettera, e predicano una rivoluzione che favorisca la promozione umana oltre regole e confini.
Teologie della storia di questo genere pensano che il tempo debba condurre ad un superamento dell’ordine, a qualcosa di radicalmente nuovo e libero, Ma il cristiano non può pensarla così, perché il Dio della legge nuova è lo stesso Dio della legge antica. Il Dio salvatore è lo stesso Dio creatore. Lo Spirito non agisce solo in vista della salvezza finale, ma agiva ed agisce anche nella creazione. Per questo la salvezza non è il superamento dell’ordine della creazione ma è semmai una nuova creazione. La legge antica non viene superata ma elevata. Ogni ordine che sia veramente tale non deve essere superato nel disordine, ma purificato in un ordine superiore. Non può esserci uno spirito della vita matrimoniale che superi le prescrizioni di Cristo come se fossero proprie di una età intermedia da oltrepassare. La teologia morale non deve essere rifondata eliminando la legge morale naturale.
L’ultima teologia della storia degna di questo nome ritengo sia quella di Giovanni Paolo II. Se ne può vedere la sintesi con cui l’ha espressa in “Memoria e identità” e in “Varcare la soglia della speranza”. Ed è una teologia della storia contrapposta a quella vista ora. Mentre quella vedeva nella legge un elemento da superare, questa considera tale presunzione come un peccato di orgoglio. Voler andare oltre la “lettera” del Vangelo, la prescrittività della natura creata, la struttura della Chiesa significa peccare di superbia. Il male è presente nel mondo tramite il peccato e la colpa non sta nell’ordine da cui liberarsi quanto nel disordine che il peccato produce. Il peccato originale è stato un atto di superbia e pensare ora che il male pur presente nell’ordine si possa eliminare superando l’ordine, anziché restaurarlo come era in principio, significa ripetere il peccato originale.
Il senso teologico del tempo che passa e che avvertiamo a Capodanno più che in altri momenti, consiste nella speranza di passare dalla colpa alla redenzione, non perché una presunta novità faccia piazza pulita di regole, strutture e prescrizioni, ma perché la grazia le rianimi rendendole utili alla salvezza. Una eventuale età dello Spirito che ci renda spirituali senza più essere buoni non è da ascoltare. 

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 2 gennaio 2018)

  

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