lunedì 31 ottobre 2016

«Lutero? Un figlio di Machiavelli»

Una chiave per comprendere gli effetti della Riforma luterana è l'analisi che ne fa il filosofo e teologo domenicano Tommaso Campanella (1568-1639), che nei suoi studi si impegna a comprendere a fondo cosa sia successo con Martin Lutero e la Riforma.
Occorre tener presente che Tommaso Campanella, conosciuto e stimato nel mondo protestante tedesco, ha vissuto da spettatore inerme lo scoppio della terribile guerra dei Trent'anni, e quindi non può non meditare su cosa il luteranesimo abbia significato anche politicamente, lui che aveva sperato in una renovatio mundi religiosa e politica. La sua Epistola antilutherana, così come il Dialogo politico ed altri scritti, si collocano dunque in questo contesto: l'Europa incendiata da Lutero si è divisa, ma non sono arrivati i tempi decisivi, né quelli dell'Anticristo, né quelli di un "nuova era" segnata dal trionfo del Bene.
Ebbene, qual è, in estrema sintesi, la visione che Campanella ci dà di Lutero? Egli non ha dubbi: Lutero è un figlio di Machiavelli. E' l'uomo che, machiavellicamente, ha saputo fomentare e cavalcare il machiavellismo dei prìncipi tedeschi. Infatti su chi ha fatto leva il monaco agostiniano? Sui prìncipi tedeschi, desiderosi da una parte di emanciparsi dall'Imperatore, dall'altra di prendere nelle proprie mani, oltre al potere temporale, il potere spirituale, e, oltre ai beni dello Stato, anche monasteri, terre, ospedali, scuole e beni della Chiesa.
I prìncipi tedeschi, secondo Campanella, «hanno preso al volo l'occasione di separarsi da Roma per costituire una chiesa autonoma e dare così sfogo alle loro mire temporali». Loro, così come Lutero, hanno utilizzato strumentalmente un fatto vero, la crisi morale di molti uomini di Chiesa, non nell'intento di riformare i buoni costumi, di restaurare la Chiesa, ma di sostituirsi ad essa. Per Campanella dunque i prìncipi hanno utilizzato Lutero, per poter giustificare la loro brama di potere e l'incameramento dei beni ecclesiastici, mentre Lutero ha usato i prìncipi per vincere una battaglia altrimenti impossibile.
Ciò significa, in ultima analisi, che la Riforma non è stata affatto una vera riforma, perché non ha raddrizzato le storture morali, ma ha alterato la dottrina e la fede, e perché, in ultima analisi, ha avuto successo solo perché politicamente strumentalizzabile ad opera del potere secolare. Frutto e figlio di un'epoca di crisi, lungi dal rimediare ad essa, come i veri riformatori del passato (san Francesco, san Domenico...), Lutero ha peggiorato ed aggravato la crisi stessa, precipitando la Cristianità nella divisione e nella confusione. 
Il giudizio definitivo è presente nel Dialogo politico, in cui Lutero diventa un "falso profeta": "superbissimo" ed ambizioso, ha mentito, negando che san Pietro fosse mai stato a Roma, e profetizzando fatti che non si sarebbero mai realizzati (la rovina del papato e l'avvento dell'Anticristo); non ha dalla propria parte né miracoli, né testimoni credibili (la riforma si è risolta in varie chiese riformate divise al loro interno e piene di litigi); è stato incoerente sui dogmi formulando dottrine diverse nel tempo e riducendo la fede ad un fatto individuale che genera la rottura di ogni possibile unità; ha trasformato Dio in un tiranno e spogliato l'uomo della sua dignità, negandogli il libero arbitrio.
Inoltre, se Cristo ha "vinto" morendo sulla croce, generando dietro di sé testimoni credibili come gli apostoli, Lutero ha fatto l'esatto contrario: come Maometto, ha piantato la fede con la forza; come Machiavelli ha cercato l'appoggio dei prìncipi per sopperire alla sua mancanza di credibilità (si veda in particolare Gaetano Curra, Il falso profeta. Lutero negli scritti di Tommaso Campanella, Cosenza, 1989)
Oggi, diversi secoli dopo Campanella, non è difficile scorgere la veridicità di fondo della sua riflessione. Per Lutero, scrive Eugenio Ballabio, in Lutero e Nietzsche (Roma, 2005, p. 30), «il destinatario del nuovo verbo era in primo luogo la nobiltà germanica», a cui indirizzò numerose lettere personali e generiche, e il suo celebre appello Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca.
In un classico manuale di storia del pensiero politicoLe orgini del pensiero politico moderno (Il Mulino, Bologna, vol. II, p. 26), Quentin Skinner, dopo aver elencato tutti i prìncipi, i langravi, i principi-vescovi che sostennero Lutero, spesso dietro sua esplicita richiesta, mette a fuoco un concetto chiave: «Le premesse teologiche di Lutero non solo lo impegnarono ad attaccare i poteri giurisdizionali della Chiesa, ma anche a colmare il vuoto di potere che si era così creato, apprestando un'analoga difesa delle autorità secolari. Per prima cosa Lutero sanzionò un'estensione senza precedenti del raggio d'azione dei loro poteri». Conferendo ai principi il potere che aveva tolto al Papa.

(Fonte: Francesco Agnoli, La nuova bussola quotidiana, 16-10-2016)



sabato 22 ottobre 2016

Se la Chiesa marcia con i Radicali

«La CEI guarda con attenzione a questa iniziativa e come Segreteria generale dà una convinta adesione». Le parole con cui il sottosegretario e portavoce della CEI, don Ivan Maffeis, ha comunicato l’adesione della Chiesa italiana Marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà promossa dal Partito Radicale il 6 novembre a Roma, non chiedono di essere interpretate né contestualizzate, perché sono chiarissime. E con estrema chiarezza attestano come la stessa CEI che ieri ha ritenuto di non appoggiare eventi come la Marcia per la Vita o il Family Day, abbia fatto una tragica scelta di campo e oggi giaccia, scodinzolante, alla corte dei nipotini di Marco Pannella cui peraltro questa Marcia è dedicata. Certo, poi si potrà sempre dire come l’adesione – pardon, la «convinta adesione» – ad un evento non implichi per forza la condivisione dell’intero progetto politico di chi la promuove. Si potrà pure arrampicarsi sugli specchi affermando che Marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà, in realtà, oltre che a Pannella è intitolata pure a Papa Francesco.
Il punto però, mi si passi l’espressione poco aulica, è che non siamo tutti scemi. E sappiamo bene che la Segreteria generale della CEI è nelle mani di un monsignore secondo cui Sodoma non è stata mai distrutta, che ha “contestato” le unioni civili con decisione impercettibile (ci sono «altre priorità», diceva…) e la cui ascesa a quella posizione è coincisa con uno scadimento palese del quotidiano Avvenire, ieri più battagliero che mai e oggi appiattito sul politicamente corretto, ridotto ad una surreale equidistanza tra il comunque discutibile Trump e l’abortista e guerrafondaia scatenata Clinton, a parlare male della Brexit nonché a dare ad eventi come il citato Family Day minor spazio, in prima pagina, di quello riservato da testate laiciste come Repubblica. Dunque la triste notizia dell’adesione della Marcia dei Radicali stupisce fino ad un certo punto, inserendosi in un percorso purtroppo già segnato e rispetto al quale risulta impossibile non porsi degli interrogativi: dove stiamo andando? E dove andremo a finire? Il prossimo passo? Una trasmissione della Bonino sulla tv dei vescovi italiani? Una rubrica di Cappato su Avvenire? Che cosa?
Sono dubbi che avanzo senza ironia, anzi con dispiacere. Perché so – come lo sanno in tantissimi – che la Chiesa italiana è anche, anzi soprattutto, composta da bravissimi sacerdoti, da pastori che hanno davvero, per dirla con Papa Francesco, l’«odore delle pecore» e non quello di Confindustria, sul cui giornale il Segretario generale delle CEI è casualmente editorialista. So pure che molti che leggono ancora Avvenire – inclusi alcuni che tutt’ora vi scrivono e collaborano – sono ottime persone nonché, in alcuni casi, cari amici. Tuttavia di fronte ad una Chiesa i cui vertici sbandano tanto clamorosamente, di fronte ad un disorientamento che si traduce in scandalo quasi quotidiano, credo sia impossibile tacere. Di più: credo sia doveroso alzarsi in piedi e scandire la propria indignazione. Scriveva l’indimenticabile Giovannino Guareschi (1908-1968) che «quando i generali tradiscono, abbiamo sempre più bisogno della fedeltà dei soldati». Beh, credo che vi sia mai stato bisogno, come oggi, di questa fedeltà. Non per coerenza fine a se stessa né per l’orgoglio di credersi migliori, ma per quel che, come cattolici, siamo chiamati a testimoniare. Senza l’obbligo di piacere a nessuno, figurarsi ai Radicali.

(Fonte: Giuliano Guzzo, campariedemaistre.com, 21 ottobre 2016)


mercoledì 12 ottobre 2016

Altro che buon esempio per il mondo. La Chiesa tedesca è un buco nero

Soldi, burocrazia, mondanità, scomuniche per chi non paga. Il tagliente atto d'accusa di Joseph Ratzinger contro il cattolicesimo di Germania. Lo stesso che gode dei favori di papa Francesco.

"In Germania alcune persone cercano da sempre di distruggermi", ha detto il papa emerito Benedetto XVI nel libro-intervista uscito nei giorni scorsi.
E ha citato l'esempio della "menzogna" montata contro di lui da alcuni suoi connazionali quando cambiò la vecchia preghiera del Venerdì Santo contro i "perfidi Iudaei".
Ma nello stesso libro Joseph Ratzinger ha rivolto alla Chiesa tedesca un'accusa di portata ben più generale: quella di essere troppo "mondana" e quindi di aver lasciato cadere anche il forte monito a una "demondanizzazione" da lui lanciatole durante il suo ultimo viaggio in Germania da papa, nel memorabile discorso a Friburgo del 25 settembre 2011:

Di quel discorso "rivoluzionario" – definizione sua – del pontificato di Benedetto XVI sono riprodotti più sotto i passaggi chiave.
Ma prima c'è un altro punto del libro-intervista che merita attenzione. È quello in cui Ratzinger si pronuncia contro il sistema della tassa ecclesiastica in Germania e sui suoi effetti nefasti:
"Effettivamente ho grossi dubbi sulla correttezza del sistema così com'è. Non intendo dire che non ci debba essere una tassa ecclesiastica, ma la scomunica automatica di coloro che non la pagano, secondo me, non è sostenibile. […] In Germania abbiamo un cattolicesimo strutturato e ben pagato, in cui spesso i cattolici sono dipendenti della Chiesa e hanno nei suoi confronti una mentalità sindacale. Per loro la Chiesa è solo il datore di lavoro da criticare. Non muovono da una dinamica di fede. Credo che questo rappresenti il grande pericolo della Chiesa in Germania: ci sono talmente tanti collaboratori sotto contratto che l'istituzione si sta trasformando in una burocrazia mondana. […] Mi rattrista questa situazione, questa eccedenza di denaro che poi però è di nuovo troppo poco, e l'amarezza che genera, il sarcasmo delle cerchie di intellettuali".
Fa impressione il contrasto tra questa dura critica e il favore di cui la stessa Chiesa tedesca gode oggi da parte del papa che è succeduto a Benedetto, come se sia essa l'avanguardia dell'auspicato rinnovamento della cristianità mondiale nel segno della povertà e della misericordia, quando invece è sotto gli occhi di tutti che in Germania la Chiesa non è per lo più né povera né misericordiosa, ma semmai soffocata dal suo stesso apparato e soprattutto inginocchiata al mondo su tante questioni cruciali della morale e del dogma.
 Per meglio capire le critiche di Ratzinger, va tenuto presente che in Germania la Kirchensteuer, l'imposta ecclesiastica, è obbligatoria per legge per tutti coloro che sono registrati come appartenenti alla Chiesa cattolica o alle Chiese protestanti.
Alla Chiesa cattolica tedesca questa tassa frutta oltre 5 miliardi di euro all'anno. Una somma imponente, più di cinque volte, ad esempio, il gettito raccolto dalla Chiesa italiana con un sistema di contribuzione statale – l'"otto per mille" – non obbligatorio ma volontario, e con una platea di cattolici doppia di quella tedesca.
Ma siccome in Germania chi non vuole pagare questa tassa deve cancellare la propria iscrizione alla Chiesa con un atto pubblico davanti a una competente autorità civile, e siccome queste cancellazioni sono venute crescendo negli ultimi anni, con l'effetto di diminuire l'incasso, la Chiesa cattolica tedesca ha messo in atto una contromisura per scoraggiare tali abbandoni.
L'ha fatto nel 2012 con un decreto che commina ai fuorusciti una serie micidiale di sanzioni canoniche, come se siano scomunicati e appestati, senza più sacramenti né sepoltura:

Per cominciare, chi cancella la propria iscrizione alla Chiesa "non può ricevere i sacramenti della penitenza, de!l'eucaristia, della confermazione e dell'unzione degli infermi, tranne in pericolo di morte".
E se poi, dopo un tentativo di riconciliazione fatto dal parroco del luogo, il ritorno all'ovile del reprobo fallisce, può capitargli anche di peggio:
"Quando nel comportamento del fedele che ha dichiarato la propria uscita dalla Chiesa si ravvisa un atto scismatico, eretico o di apostasia, I'ordinario avrà cura di prendere le misure corrispondenti".
Altro che misericordia. In Germania i divorziati risposati fanno ovunque tranquillamente la comunione, i matrimoni omosessuali sono sempre più spesso benedetti in chiesa, ma guai se uno toglie la firma per non pagare la Kirchensteuer.
In un intervista sulla "Schwäbische Zeitung" del 17 luglio l'arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della casa pontifica e segretario particolare di Ratzinger, ha denunciato anche lui questa clamorosa contraddizione:
"Come reagisce la Chiesa cattolica in Germania con chi non paga la tassa per la Chiesa? Con l’automatica esclusione dalla comunità ecclesiale, il che significa: scomunica. Ciò è eccessivo, incomprensibile. Si possono mettere in dubbio i dogmi e nessuno viene cacciato fuori. Forse che il non pagamento della Kirchensteuer è un’infrazione più grave che non le trasgressioni contro le verità di fede? L’impressione è che, finché c’è in gioco la fede, non sia così tragico, quando però entra in gioco il denaro, allora non si scherza più".
Per non dire dei condizionamenti che la Chiesa tedesca può far pesare su tante diocesi povere del sud del mondo, da essa finanziate con i suoi proventi, oltre che sulla stessa Santa Sede, di cui è un benefattore di prima grandezza.
Ma ora lasciamo la parola a Ratzinger e al suo "rivoluzionario" discorso di Friburgo del  25 settembre 2011, tanto inascoltato quanto ancora straordinariamente attuale, non solo per la Chiesa di Germania.

Per una Chiesa "distaccata dal mondo". Documento di Benedetto XVI
Da decenni assistiamo [in Germania] a una diminuzione della pratica religiosa, constatiamo un crescente distanziarsi di una parte notevole di battezzati dalla vita della Chiesa. Emerge la domanda: la Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio? […]
Sì, c’è motivo per un cambiamento. Esiste un bisogno di cambiamento. Ogni cristiano e la comunità dei credenti nel suo insieme sono chiamati ad una continua conversione. […] Ma per quanto riguarda il motivo fondamentale del cambiamento, esso è la missione apostolica dei discepoli e della Chiesa stessa.
Infatti, la Chiesa deve sempre di nuovo verificare la sua fedeltà a questa missione. […] “Proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,1 5).
A causa delle pretese e dei condizionamenti del mondo, però, questa testimonianza viene ripetutamente offuscata, vengono alienate le relazioni e viene relativizzato il messaggio. […] Per compiere la sua missione, [la Chiesa] dovrà anche continuamente prendere le distanze dal suo ambiente, dovrà, per così dire, essere distaccata dal mondo.
La missione della Chiesa, infatti, deriva dal mistero del Dio uno e trino, dal mistero del suo amore creatore. […] Nell’incarnazione e nel sacrificio del Figlio di Dio, esso ha raggiunto l’umanità, […] non soltanto per confermare il mondo nel suo essere terreno, […] ma per trasformarlo. Dell’evento cristologico fa parte il dato incomprensibile che – come dicono i Padri della Chiesa – esiste un "sacrum commercium", uno scambio tra Dio e gli uomini. I Padri lo spiegano così: noi non abbiamo nulla che potremmo dare a Dio, possiamo solo mettergli davanti il nostro peccato. Ed egli lo accoglie, lo assume come proprio, e in cambio ci dà se stesso e la sua gloria. […]
La Chiesa deve se stessa totalmente a questo scambio disuguale. Non possiede niente da sé stessa di fronte a Colui che l’ha fondata. […] Il suo senso consiste nell’essere strumento della redenzione, nel lasciarsi pervadere dalla parola di Dio e nell’introdurre il mondo nell’unione d’amore con Dio. […] E per questo deve sempre di nuovo aprirsi alle preoccupazioni del mondo, del quale, appunto, essa stessa fa parte, dedicarsi senza riserve tali preoccupazioni, per continuare e rendere presente lo scambio sacro che ha preso inizio con l’Incarnazione.
Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta, però, anche una tendenza contraria: quella cioè di una Chiesa soddisfatta di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo. Non di rado dà così all’organizzazione e all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua chiamata all’essere aperta verso Dio e ad un aprire il mondo verso il prossimo.
Per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi da questa sua secolarizzazione e diventare nuovamente aperta verso Dio. […] In un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore.
Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spoglia, per così dire, della sua ricchezza terrena e torna ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena. […]
Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata dal mondo emerge in modo più chiaro. Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo. Il compito missionario, che è legato all’adorazione cristiana e dovrebbe determinare la struttura della Chiesa, si rende visibile in modo più chiaro.
La Chiesa si apre al mondo non per ottenere l’adesione degli uomini per un’istituzione con le proprie pretese di potere, bensì per farli rientrare in se stessi e così condurli a Colui del quale ogni persona può dire con Agostino: Egli è più intimo a me di me stesso (cfr Confessioni III, 6, 11). […]
Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità, che non trascura né reprime alcunché della verità del nostro oggi, ma realizza la fede pienamente nell’oggi vivendola, appunto, totalmente nella sobrietà dell’oggi, portandola alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione ed abitudine. […]
Vi è una ragione in più per ritenere che sia nuovamente l’ora di trovare il vero distacco del mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa. Questo, naturalmente, non vuol dire ritirarsi dal mondo, anzi, il contrario. Una Chiesa alleggerita degli elementi mondani è capace di comunicare agli uomini – ai sofferenti come a coloro che li aiutano – proprio anche nell’ambito sociale-caritativo, la particolare forza vitale della fede cristiana. […] Solo il profondo rapporto con Dio rende possibile una piena attenzione all’uomo, così come senza l’attenzione al prossimo s’impoverisce il rapporto con Dio.
Essere aperti alle vicende del mondo significa quindi per la Chiesa distaccata dal mondo testimoniare, secondo il Vangelo, con parole ed opere qui ed oggi la signoria dell’amore di Dio.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 11 ottobre 2016)


giovedì 6 ottobre 2016

Tra scienza e stregoneria

Nell’epoca della Grande Incompetenza, dove tutti parlano di tutto saltando dal calcio alla geopolitica scopiazzando in giro e su google, bisogna alla fine rassegnarsi. Tuttavia qualche limite c’è, o dovrebbe esserci. Capisco che non si fanno danni se si sproloquia sulla politica (magari eviterei le balle) o sulla formazione della Nazionale, tanto Ventura mica sta a sentire noi. Non si fanno danni neppure se si fa gossip sulle elezioni americane, in quanto ritengo che Trump e la Clinton non seguano troppo i social, specie quelli italiani. Ma quando si parla di medicina bisogna stare molto attenti. Ognuno è padrone di fare quello che vuole del suo corpo e della sua vita, ma dire per esempio che mangiare vegano significa eliminare tutti i rischi quando poi si scoprono bambini denutriti, eh no questo non va bene. E’ roba da talebani. Non va bene neanche quando maldestramente s’invita la popolazione a non fare i vaccini perché si sa invece che servono. Soprattutto non va bene, anzi è un atto criminale, sparlare della chemioterapia perché è stato scientificamente provato che per ora è il sistema più efficace per combattere un tumore. Il che non significa sempre batterlo, ma le possibilità aumentano ogni giorno, insieme alla ricerca. Ed è estremamente pericolosa, al limite della follia oltre che della legge, la campagna che sta portando avanti una mezza attrice partita di testa come la Brigliadori. Si fa pagare cento euro da ciascuna dalle sue “adepte”, signore ammantate che giocano alle fatine invocando chissà quale spirito benigno; aggredisce una brava Jena, Nadia, che tenta di capire; farfuglia spiegazioni che sanno di cialtroneria. Attacca i medici che sfrutterebbero la situazione, poi afferma che ci si può curare con una pomata per le emorroidi. Se fosse vero, quanto guadagnerebbe la casa farmaceutica che la produce? Mette una cura concreta sullo stesso piano di un viaggio a Lourdes come se la fede fosse un ostacolo alla speranza di un disperato. Giusto per chiarire, il famoso genio tedesco è stato radiato dall’Ordine dei medici. Dunque, talebana, falsa e populista: quindi d rinchiudere.
Insomma, in questo mondo di mestieri inventati, lasciamo stare almeno i “dottori”. Alcuni di loro possono sbagliare, ma rispettiamo la loro competenza. Affidiamoci comunque sempre a chi ha studiato e ne sa più di noi. E non a qualche ciarlatano che spara sentenze a cui gente ignorante può abboccare, magari perché in crisi profonda. Fidiamoci della Scienza, non delle chiacchiere. Inondiamo pure le bacheche di scempiaggini personali su come, magari, costruire la pace mondiale o sulle nuove parole da mandare alla Crusca. Ma certe streghe io le metterei subito al rogo.

(Fonte: Pino Scaccia, La torre di babele, 5 ottobre 2016)


domenica 2 ottobre 2016

I farisei di Molfetta e lo tsunami catto-gay

«Evitare il confronto è da vili», ha detto monsignor Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta, introducendo il 30 settembre il dibattito che ha dato inizio al corso di formazione per insegnanti ed educatori sulla “Educazione di genere”, organizzato dalla diocesi di Molfetta e dalla locale Azione Cattolica. Oddio, chiamarlo dibattito sembra azzardato, visto che i sei che sedevano dietro al tavolo degli oratori raccontavano in modi diversi la stessa storia: che l’omosessualità, cioè, è una variante della natura, che l’educazione di genere è compito fondamentale della scuola, che compito dell’educatore è accompagnare ogni persona nel crearsi una identità sessuale forte, qualsiasi essa sia. 
Ma i lettori più attenti si saranno accorti di una stranezza: la presenza all’incontro di quel vescovo che, prima annunciato sui manifesti, alla Nuova Bussola Quotidiana aveva poi fatto dire dal suo segretario che non sarebbe andato (clicca qui). Sconcertati dal manifesto e dalla presentazione del corso di formazione (clicca qui), volevamo semplicemente chiedere al vescovo il perché di questa scelta così in contrasto con certe affermazioni di papa Francesco sul tema dell’educazione di genere (e ieri in Georgia ne ha dato un’altra dimostrazione) e se era consapevole che tutti i relatori sono noti per le loro posizioni chiaramente pro-gender.
Il buon segretario del vescovo, don Luigi Amendolagine, ci ha detto che lui e il vescovo non ne sapevano nulla, che altri erano gli organizzatori, che il vescovo comunque aveva altri impegni e non sarebbe andato, che poi – figurarsi - «sappiamo bene cosa insegna la Chiesa e quindi ci saranno sicuramente voci che esprimeranno questa posizione» (e nel caso don Luigi pensasse di poter smentire, sappia che abbiamo la registrazione delle due telefonate). 
Ma era solo un modo per evitare il confronto. Non solo il vescovo ci è andato ma la registrazione dell’incontro (clicca qui per il video) dimostra chiaramente che monsignor Cornacchia sapeva benissimo chi erano i relatori e cosa avrebbero detto (diocesi ed “esperti” ci lavoravano da mesi), cose su cui ha dimostrato di concordare in pieno, rifugiandosi dietro al solito «Chi sono io per giudicare?». È d’accordo sul fatto che «ci siano varianti nella stessa natura»; ha detto che viviamo tutti «un problema evolutivo» (qualsiasi cosa significhi), davanti al quale non è lecito «tapparsi le orecchie come per tanto tempo anche la Chiesa ha fatto»); con notevole sprezzo del pericolo ha sostenuto che «noi ci inchiniamo di fronte a chi fa una determinata scelta», e non parliamo delle frasi sconnesse con cui ha definito l’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”. E davanti a una domanda precisa ha fatto sfoggio di una invidiabile cultura internazionale affermando che «qui stiamo parlando di genere e non di gender»: qualcuno dal pubblico gli ha urlato che sono la stessa cosa essendo il primo termine la traduzione italiana del secondo (in inglese), ma non ha raccolto. 
Per certi versi il caso di Molfetta è clamoroso, ma sarebbe un errore pensare che sia isolato. Al contrario è dentro una tendenza ormai più che conclamata, visto che da tempo anche Avvenire e Tv2000, gli organi di informazione ufficiali della Chiesa italiana, sembrano diventati organi di promozione dell’omosessualità (cliccaqui e qui). È ancora Avvenire che ha sdoganato già da tempo l’ideologia di genere introducendo una differenza tra un gender buono e un gender cattivo, un po’ come per il colesterolo (clicca qui). Proprio due giorni fa il quotidiano Repubblica ha pubblicato un lungo articolo in cui dà conto della lunga marcia delle associazioni cristiane Lgbt sempre più integrate nella pastorale delle diocesi. E il Rapporto 2016 sui cristiani Lgbt in Italia ne offre un dettagliato resoconto (clicca qui)
Per questo, pur di fronte a un’iniziativa oggettivamente scandalosa (nel senso letterale del termine) e grave come quella di Molfetta, non ci aspettiamo chissà quali interventi superiori. Anzi, è più probabile che ci toccherà ascoltare messaggi di sostegno a un confratello vilmente e ingiustamente attaccato dai soliti “dottrinari” che invece di chinarsi sulle ferite degli uomini, pensano soltanto alla Legge. 
E non basteranno neanche le parole chiare del Papa di ieri a proposito di gender e di guerra mondiale contro il matrimonio. Perché il tutto passa da sottili distinzioni che permettono di tenere insieme il Magistero con il suo sovvertimento: si prende le distanze da una ideologia del genere, che forse neanche esiste (si dice), ma si valorizza l’accompagnamento alla costruzione dell’identità sessuale; si condanna a parole l’indottrinamento nelle scuole ma poi si costruiscono percorsi nelle diocesi e nelle parrocchie - per «capire», per «dialogare» - che fanno la stessa cosa; si fa finta che il gender sia una cosa e l’omosessualità un’altra; si spaccia per aiuto alle persone ciò che è invece pura e semplice promozione di uno stile di vita; si difende il matrimonio ma poi si promuovono le unioni omosessuali «basta che non siano equiparate alla famiglia». Tanto per capire che in confronto ai personaggi che guidano l’opinione nella Chiesa oggi, i capi dei farisei al tempo di Gesù erano dilettanti.
Per questo la condanna dell’ideologia del gender non è più sufficiente, si deve affermare con chiarezza che questa ideologia e la promozione dell’omosessualità, la pretesa che essa sia una semplice «variante della natura», sono un tutt’uno. Si deve dire in modo inequivocabile che accogliere le persone e accompagnarle è cosa ben diversa dall’accettare stili di vita incompatibili non con la dottrina ma con il bene delle persone stesse. Così come si bastona quanti usano la dottrina come pietre da scagliare contro le persone, si deve denunciare con forza quanti stravolgono e usano il Magistero della Chiesa per affermare dottrine personali o, peggio, per sistemare le proprie situazioni affettive.
Senza un intervento chiaro in questo senso, non c’è dubbio che l’attuale ondata catto-gay diventerà uno tsunami. 

(Fonte: Riccardo Cascioli, Nuova Bussola Quotidiana, 2 ottobre 2016-10-02