giovedì 29 settembre 2011

Quando il fronte gay diceva: «Il viaggio del Papa in Germania sarà un flop

La storia si ripete puntualmente. La cultura laicista vuole convincere che il Papa non trovi consenso da nessuna parte, che gli stessi cattolici stiano prendendo le distanze da lui, che la fede stia scomparendo, nonostante le statistiche dicano proprio l’opposto. Prima di ogni grande evento sono così tanto desiderosi che si possa rivelare un fallimento totale che si lasciano andare a vere e proprie profezie.
E’ successo a Micromega, giornaletto militante sotto il dominio di Flores D’Arcais, quando ha sostenuto che la beatificazione di Giovanni Paolo II si sarebbe rivelata un flop. È successo alla setta razionalista dell‘Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, quando ha voluto convincere i propri adepti che la GMG 2011 si sarebbe rivelata un fallimento.
Identica previsione catastrofica è stata anticipata anche per il viaggio del Pontefice in Germania, svoltosi dal 22 al 25 settembre 2011. A formularla questa volta è stato il fronte omosessualista. Prima dell’inizio del viaggio ha infatti dichiarato che se il Papa durante la sua visita non avesse visitato il monumento alle vittime omosessuali cadute durante il regime nazionalsocialista, il viaggio sarebbe naufragato in un grande flop.
Hanno parlato di immense manifestazioni di protesta, del Parlamento tedesco mezzo vuoto, di accoglienza fredda, di scisma della Chiesa, di sacerdoti in rivolta, dell’86% di cittadini tedeschi indifferenti, di agnostici sul piede di guerra ecc.
Ovviamente nulla di tutto questo è avvenuto, anzi, anche questa volta si parla di “successo”.
In Parlamento poche sedie vuote e una grande ovazione generale. Ottimo apprezzamento da parte del Cancelliere tedesco Angela Merkel. Benedetto XVI è stato accolto con un minuto e mezzo di applausi dai parlamentari in piedi e interrotto più volte dagli applausi durante il discorso. La Frankfurter Allgmeine Zeitung, quotidiano tedesco di linea liberal-conservatrice, ha definito quello pronunciato da Benedetto XVI davanti al parlamento tedesco il “discorso del secolo”.
Proteste? A Berlino si aspettavano decine di migliaia di persone. Il tutto si è ridotto ad una sfilata folcloristica di al massimo tremila persone, come descrive chi ci è stato. Lo stesso è avvenuto a Erfurt, dove se ne sono viste solo quattrocento, ma i pellegrini arrivati per ascoltare il Papa erano 90 mila. E centomila alla Messa finale.
I quotidiani tedeschi: Il Der Spiegel, tra le voci “contro” della vigilia, ha parlato alla fine di un Papa delle sorprese e convincente. Il Bild, oltre ad averlo accolto con due manifesti giganti, ha dedicato a lui 5 pagine solo al primo giorno di viaggio, quasi un record. Il giornale liberale di sinistra, la Suddeutsche Zeitung, è rimasta invece colpita dall’atteggiamento umile del Papa: la sua visita al Bundestag – scrive – ha avuto grande attenzione e il merito è tutto del protagonista. Quello al Bundestag, commenta, è stato «impressionante, grande, filosofico, umano. Un discorso complesso ma semplice nel suo messaggio, fondamentale ma non fondamentalista». Anzi, il quotidiano tedesco dà dell’intollerante a chi ha criticato pregiudizialmente Benedetto XVI. Il Papa è stato perfino elogiato dal leader della sinistra radicale tedesca, Gregor Gysi, dal movimento ecologista tedesco e da quello italiano.
Che dire? Definire tutto ciò un “flop”, significa una cosa sola: voler sovvertire ad ogni costo la realtà e sparare giudizi a casaccio, mossi soltanto dal solito odio velenoso contro Benedetto XVI e ciò che rappresenta.

(Mario, 29 settembre 2011)


L’aria fritta di Mancuso. Con uno chef d’eccezione, Gustavo Zagrebelsky

Ho letto su Repubblica la recensione entusiasta di Gustavo Zagrebelsky all’ultima fatica (si fa per dire) di Vito Mancuso, quel libro dal titolo «Io e Dio» con cui l’autore vuole insegnarci la sua particolare «teologia», ove «il passo decisivo è il rifiuto di un Dio che comanda, giudica, condanna esercitando un potere esterno».
Non ho letto, e non intendo leggere, il libro in questione: a una certa età «il tempo si fa breve» e bisogna saper scegliere quali letture fare. Del resto mi ha colpito questa caustica riflessione di Camillo Langone su Il Foglio di oggi, 10 settembre 2011: «Se un albero balordo produce buoni frutti lo si può ancora definire balordo? I libri di Paolo Brosio, considerato meno che un sempliciotto, vendono. Di più: vengono letti. Ancora di più: vengono creduti. Ho visto persone partire per Medjugorje, e tornarne cambiate, grazie alle sue pagine prive di qualsiasi pretesa letteraria o teologica. Mentre non ho mai conosciuto nessuno che si sia avvicinato o riavvicinato ai sacramenti grazie ai libri degli intelligentissimi [e qui il Nostro elenca una serie di personalità cattoliche - NdC]… Nessuno. Il Vangelo è un libro rivoluzionario, applichi Matteo 12,33 (“dal frutto si conosce l’albero”) e ribalti un mucchio di reputazioni.»
Credo che sia il miglior commento a quanto scritto da Zagrebelsky. Non intendo avvalorare il giudizio di Langone sugli «intelligentissimi», certo è che un libro deve servire, proprio perché introduce alla verità della vita, ad un vivere bene, ad un cammino che apra gli orizzonti dell’uomo a qualcosa di più che un semplice sentimento. Se vale la pena credere a un Dio, penso che questo implichi che sia una realtà «reale», non una proiezione di sé, di uno stato d’animo, di un desiderio irrealizzato. Che farsene di un dio così: «Il mio assoluto, il mio dio, ciò che presiede la mia vita, non è nulla di esterno a me», dice Mancuso. Vuol dire che è dentro di me, nel senso ch’io sono dio per me stesso? Per nulla. «Credendo in Dio, io non credo all’esistenza di un ente separato da qualche parte là in alto; credo piuttosto a una dimensione dell’essere più profonda di ciò che appare in superficie […], capace di contenere la nostra interiorità e di produrre già ora energia vitale più preziosa, perché quando l’attingiamo ne ricaviamo luce, forza, voglia di vivere, desiderio di onestà. Per me affermare l’esistenza di Dio significa credere che questa dimensione, invisibile agli occhi, ma essenziale al cuore, esista, e sia la casa della giustizia, del bene, della bellezza perfetta, della definitiva realtà»?
Di questo «dio» ci hanno sbarazzato Feuerbach e Marx. Perché non imparare la lezione?
Io credo in quel Dio che ha un volto umano, e che Benedetto XVI e la Chiesa mi fanno conoscere ed incontrare. E so per certa esperienza che tale Dio (che è il Dio di Gesù Cristo, Padre, Figlio e Spirito Santo) mi chiede quella obbedienza per cui servire a Lui è veramente regnare. Cioè essere finalmente se stessi. Alla faccia di Mancuso e Zagrebelsky.

(Fonte: Gabriele Mangiarotti, Cultura Cattolica, 10 settembre 2011)


Onnipotenza di Dio, libertà dell'uomo

Durante l’omelia pronunciata domenica mattina (durante la messa celebrata a Friburgo, nell’ultimo giorno del suo viaggio in Germania) Benedetto XVI ha toccato, sia pur brevemente, il problema terribilmente inquietante del male e del suo rapporto con Dio. Se Dio c’è, perché esiste il male? Soprattutto, perché esiste la sofferenza dell’innocente? È una domanda drammatica che da sempre travaglia la coscienza umana, tanto che il male è la più grande e frequente contestazione all’esistenza di Dio.
Il Papa non ha toccato in questa occasione la questione della sofferenza dell’innocente cagionata da malattie, o da calamità naturali, o dalla morte (non ha cioè toccato la questione dal punto di vista ontologico, anche perchè il tema richiederebbe lo spazio di una monografia e non basta certo quello di una omelia; ciò sia detto per Umberto Eco e per tutti quei critici di Benedetto XVI che giudicano frettolose le sue disamine: un’omelia o un angelus non sono e non devono essere dei trattati di filosofia).
Piuttosto, il Papa ha accennato al tema del male morale, cioè alla questione della sofferenza umana causata dagli uomini. Come ha detto il Papa, «Ci sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non può essere onnipotente». In effetti, molti si sono chiesti: «dov’era Dio ad Auschwitz o negli altri lager nazisti, o nei gulag comunisti, o nei vari campi di concentramento della storia?». In effetti, se Dio è onnipotente, perché non impedisce il male morale, cioè la malvagità degli uomini?
Il Papa ha risposto che certamente Dio è onnipotente, ma «esercita il suo potere in maniera diversa da come gli uomini sogliono fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature».
In effetti, Dio non è l’autore degli atti malvagi umani, però potrebbe evitarli, dunque perché li tollera? La risposta è piuttosto articolata, perché i motivi sono almeno quattro.
1) Dio tollera gli atti malvagi perché da essi ricava un bene maggiore o evita un male peggiore (è un discorso che non possiamo approfondire in questa sede).
2) Se Dio impedisse il male morale, toglierebbe la sua sorgente che è la libertà. Ora, Dio potrebbe togliere la libertà all’uomo, ma così lo priverebbe di quella stupenda prerogativa che lo innalza al di sopra degli altri esseri, che lo eleva al di sopra dell’universo.
Come ha scritto Cornelio Fabro, «la imago Dei è soprattutto la libertà!». Infatti, prima di agire l’uomo esamina delle alternative tra cui scegliere, delle possibilità, degli esiti delle sue possibili scelte, e mediante la libertà fa essere ciò che fino al momento della sua scelta non esiste, ciò che prima era solo una possibilità, quindi l’esercizio della libertà «si apparenta e si accosta alla creazione», che fa essere ciò che prima non esiste per nulla. Infatti, qualsiasi evento fisico «si trova contenuto nelle sue cause (non solo le eclissi, i terremoti, le sciagure, ma anche il prodursi delle stagioni, il riprodursi degli animali e tutto il susseguirsi della vita nel mondo)», mentre ciò che scaturisce dall’azione libera dell’uomo «non è contenuto nella serie o catena delle cause». L’azione umana non è come il movimento della tessera di un domino, che è la continuazione e la ritrasmissione alla tessera successiva di un impulso ricevuto dalla tessera precedente. Lo ha scritto stupendamente Hannah Arendt : «Agire […] significa prendere un’iniziativa, incominciare» e «perché ci fosse un inizio fu creato l’uomo [...]. Questo inizio non è come l’inizio del mondo, non è l’inizio di qualcosa ma di qualcuno, che è a sua volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il principio del cominciamento entrò nel mondo stesso, e questo, naturalmente, è solo un altro modo di dire che il principio della libertà fu creato quando fu creato l’uomo [...]. Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può aspettare l’inaspettato».
3) Se l’uomo non potesse compiere il male, se Dio impedisse la sua malvagità e se quindi l’uomo non fosse libero, con ciò stesso non potrebbe nemmeno compiere il bene: se io non sono libero non posso scegliere di odiare, né di assassinare, ma nemmeno di amare, di donarmi, di sacrificare la mia vita per gli altri, ecc. La malvagità è il volto tenebroso di quel Giano bifronte che è la libertà: se non ci fosse la malvagità non potrebbe nemmeno esserci il bene morale.
4) Come spiega Kierkegaard, Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «È incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Iddio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente [...]: Mi vuoi tu, sì o no?». Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?». Se l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la felicità, che è la totale comunione d’amore con Dio.
Con stupore e con (giusto) orgoglio Fabro rileva – con espressioni simili a quella di Bendetto XVI in Germania – infatti che Dio può annientare l’uomo, ma «non può sostituire il sì o il no della mia volontà», perché una libertà invasa dall’esterno, «colonizzata» e coartata, non è (più) libertà.
Per questo motivo, aggiunge il pensatore friulano, «Dio stesso, all’annunzio fatto a Maria, stava in ascolto», e perciò «San Bernardo è impaziente e scrive: “affrettati, su, rispondi presto Maria!”. Ma Maria attese a rispondere come si doveva: con la libertà che conviene al bene, per gettarsi [infine] in braccio all’Infinito». E la risposta libera che Dio attendeva da Maria è analoga (mutatis mutandis) a quella (poc’anzi menzionata) che Dio, come un innamorato, attende da ogni uomo.

Così, dice Fabro, «se c’è una cosa [...] che alle volte dà i brividi e la suprema gioia di essere uomini, questa è la libertà». La grandezza della volontà-libertà è tale che Fabro afferma: «dopo l’Assoluto non c’è niente di più grande al mondo» della libertà e «la storia [del mondo] ha quindi senso [...] in funzione della libertà».
Ha senso in funzione della scelta di cor-rispondere o rifiutare la proposta d’amore di Dio, riguardo alla quale lasciamo di nuovo parlare Kierkegaard: «Si vive una volta sola. [...] E mentre tu vivi questa sola volta e la durata di questa vita si accorcia ad ogni minuto che passa, sta il Dio dell’Amore nei cieli, pieno d’amore, anche verso te. Sì, verso di te, Egli vorrebbe che tu volessi ciò ch’Egli vuol volere con te per l’eternità [...]. Il Dio dell’amore non vuole costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?».

(Fonte: Giacomo Samek Lodovici, La bussola quotidiana, 27 settembre 2011)


Il placet del Ministro sul turismo gay

L’ultimo ritrovato del mondo politicamemte corretto è il bollino “gay friendly”. Un’etichetta destinata a comparire sulle insegne delle strutture turistiche e delle località enogastronomiche. Per capire di che cosa si tratta esattamente ci rifacciamo al Consorzio di promozione turistica di Padova, che negli ultimi mesi ha lavorato all’ideazione della certificazione. «L’idea è quella di creare un marchio da esporre nei locali in grado di garantire una certo livello di ospitalità anche alla clientela omosessuale» spiega Etta Andreella, del Consorzio. Gli fa eco Alessandro Zan, assessore comunale di Sinistra e libertà con delega all’Ambiente: «Padova già da tempo ospita manifestazioni ed eventi legati all’importanza dei diritti civili e alle comunità gay e lesbiche. Ho grande fiducia in questa iniziativa perché, è evidente, l’accoglienza e il rispetto è ormai nel dna dei padovani». L’assessore, che è anche segretario regionale di Arcigay, spiega inoltre che verranno realizzate pagine ad hoc nei principali siti del turismo padovano, dove verranno suggeriti itinerari, locali, divertimenti per gli omosessuali in città.
L’iniziativa non è l’unica nel panorama italiano. Anna Paola Concia, parlamentare del PD che un mese fa a Francoforte "ha sposato" la compagna Ricarda Trautmann, quest’estate ha lanciato con orgoglio a Firenze il suo progetto, “Friendly Italia”: «Un bollino di riconoscimento per tutte quelle attività commerciali e imprenditoriali che si impegnano in politiche attive di inclusione e promozione dell’uguaglianza verso tutte quelle categorie sociali più esposte all’esclusione e alle discriminazioni. Inoltre potrebbe essere una proposta seria e credibile, per iniziare a sconfiggere quel male sociale che si chiama intolleranza, che stando agli ultimi episodi di cronaca, sembra diventato un’emergenza nazionale a cui la politica non riesce a dare risposte efficaci».
La moda del bollino “gay friendly” è approdata anche a Bergamo grazie al primo Expo Turismo Gay che si è svolto lo scorso fine settimana. L’Expo era inserito nella più ampia fiera del turismo, la No Frills, che ha ricevuto il patrocinio di Comune e Provincia di Bergamo, nonché di Regione Lombardia. L’Expo invece, un settore all’interno della fiera adibito al turismo che si rivolge prettamente ad un target omosessuale e che conta 19 strutture, ha goduto del patrocinio del Ministero del Turismo, e infatti nella settimana precedente all’apertura è balzato agli onori della cronaca per le dichiarazioni del ministro Michela Vittoria Brambilla: «Trovo che nel nostro Paese il pregiudizio nei confronti dei gay sia ancora radicato, oltre che ingiusto. Quindi anche il patrocinio a una fiera specializzata può servire ad agevolare un cambiamento culturale di cui c’è davvero bisogno».
Sul bisogno di questo specifico settore all’interno della fiera, giunta alla sua undicesima edizione e che conta circa 650 aziende, abbiamo chiesto conto a Paolo Bertagni, presidente di No Frills. A differenza del comunicato stampa di apertura di No Frills, che presentava Expo Turismo Gay come un’occasione per mettere «in luce le opportunità di un segmento che conta in Italia, su un giro di affari di 3,2 miliardi di euro l’anno», parlava di «settore ancora troppo sottovalutato» ed enfatizzava su questa novità rivolta al mondo gay, ragiunto al telefono Bertagni minimizza specificando che si tratta soltando di un segmento di 19 aziende rivolte ad un target specifico come ce ne sono altri e sottolinea: «Io faccio un’area dedicata agli over 70, che hanno delle esigenze indubbiamente diverse da chi ha 40 anni o da chi ne ha 20. La stessa cosa vale per gli omosessuali. Il turista gay innanzitutto al 99% non ha figli e quindi logicamente un villaggio con bambini e famiglie può non andare bene.[...] Per quanto riguarda i servizi specifici io posso parlare fino ad un certo punto, non sono gay, quest'area la sto portando avanti con un partner socio che invece fa parte della comunità gay che quindi è certamente più esperto.[...] Ripeto, posso arrivare fino ad un certo punto, le famiglie certamente non piacciono a questa comunità, però le posso dare il numero della persona con cui ho portato avanti il progetto che invece è in grado di specificare queste cose, [...] la persona è Alessio Virgili ».
Alessio Virgili è presidente dell’Associazione italiana turismo gay e siede al convegno di presentazione dell’Expo Turismo Gay, sabato 24 settembre. Di fronte ad una platea di addetti ai lavori i relatori sciorinato le mete “più amiche” nei confronti del target omosessuale. Innanzitutto quelle nostrane: Viareggio, Torre del Lago, Catania, Gallipoli, Taormina e, Padova, ma anche quelle internazionali tra cui Ibizia, Gran Canaria, Mykonos, Tel Aviv, nonché la maggior parte delle metropoli del Nord America, così come Toronto e Miami. Il lavoro più grosso cui sono chiamate le agenzie “gay friendly” sarebbe dunque quello di indirizzare un cliente omosessuale verso mete fornite di luoghi che facilitino l’incontro e la relazione tra turisti gay, mentre per quanto riguarda le strutture, il bollino è un’etichetta che indica una struttura in cui non c’è alcun pregiudizio nell’ospitare turisti che non siano eterosessuali. Un marchio del tutto formale dunque, che non segnala la presenza di servizi particolari ma soltanto di un’apertura maggiore verso i clienti ai quali viene risparmiata la domanda «Letto unico o letti separati? » considerata discriminatoria dalla comunità GLBT.
Secondo l’Iglta (International gay and lesbian travel association) il target gay è colto (costituito prevalentemente da laureati), con una capacità di spesa media di 800 dollari, contro 540 del target etero (lesbian 570 dollari e bisex 690) ecco perché il testimonial dell’evento, Alessandro Cecchi Paone, fresco di compleanno a Mykonos ha sottolineato: «L’Italia sta pagando il dazio dell’arretratezza religiosa e sociale causata dai pregiudizi. Continuare a non fare promozione nei confronti del segmento Glbt vuol dire fare un magnifico regalo ai Paesi più avanzati». Cecchi Paone, presente all’evento anche in veste di docente di Scienze del Turismo all'Università di Bicocca, ha poi sottolineato che: «Grazie al volano del turismo gay potremmo anche riprenderci il turismo giovanile: infatti aumentano i ragazzi etero, o momentaneamente eterom che passano le vacanze all’estero in compagnia dei loro amici gay perché i gay sono felici e, solitamente, si divertono di più». In effetti la platea si è mostrata molto divertita quando il giornalista televisivo ha esortato gli omosessuali a comportarsi con rispetto in tutte le destinazioni gay friendly partendo da Israele e finendo con Roma «Mi sembra evidente che non è il caso di baciarsi di fronte al muro del pianto, così come in piazza San Pietro, perché c’è il rischio che se passa un prete possa unirsi a voi».
E se non stupisce il lavoro di Quiiky, l’agenzia specializzata in turismo gay and lesbian che ha ideato e promosso l’Expo bergamasco, lascia perplessi il patrocinio dato dal ministero del Turismo e l’attenzione crescente di enti e istituzioni sul territorio che ritengono necessario tutelare un target di turismo costruito sull’orientamento sessuale. E’ davvero necessario?
Avremmo voluto chiederlo a qualche esponente politico, ma nessuno ha accettato l’invito al convegno anche se Alessio Virgili, presidente dell’Associazione italiana turismo gay spiega: «Abbiamo però ricevuto una lettera del sindaco di Roma, Gianni Alemanno il quale ha “augurato una buona riuscita della manifestazione presentata a giugno nella capitale in occasione del grande evento dell’Euro Pride, occasione per riflettere e crescere in consapevolezza. Sosteniamo e propagandiamo un numero verde cui le persone omoessuali possono rivolgersi per ogni tipo di problema"».
Applausi e sorrisi. «Perché chi sta coi gay sorride, si gode la vita, e si diverte» - ha ribadito Cecchi Paone, e in effetti l’appuntamento si è concluso con quello che gli organizzatori hanno definito, alla francese, “un piccolo divertissement, una cosa graziosa”. Un power point che mostrava fotografie dell'Euro Pride di Roma di cui sopra, in cui si vedevano persone con cartelli e travestimenti blasfemi o irrisori nei confronti del Vaticano.
Che così, a occhio, non sembrava esattamente "un'occasione di rilessione e crescita in consapevolezza", ma forse era un modo divertente per essere friendly.

(Fonte: Raffaella Frullone, La bussola quotidiana, 28 settembre 2011)


Il Papa riforma la Curia sulle competenze in materia di Ordine e Matrimonio

Il 27 settembre è stata pubblicata una lettera apostolica in forma di motu proprio di Benedetto XVI formalmente datata 30 agosto 2011 e chiamata "Quaerit semper". La lettera - la cui portata è stata definita storica dai canonisti - trasferisce alla Rota Romana, che è il tribunale d'appello della Santa Sede, la competenza relativa a due materie in precedenza trattate dalla Congregazione per il culto divino.
La prima materia riguarda la nullità dell'ordinazione sacerdotale. Come il matrimonio, infatti, anche l'ordinazione dei sacerdoti può essere nulla, a causa di vizi di materia e di forma, di consenso e di intenzione, sia da parte dell'ordinante sia dell'ordinato. Un caso evidente, ancora recentemente chiarito dalla Santa Sede, è la nullità dell'ordinazione conferita alla donna, anche nel caso in cui l'ordinante, per ipotesi, non sia a conoscenza del sesso femminile di chi si presenta a ricevere l'ordinazione e inganna il vescovo celando il suo vero sesso, Ma può anche darsi che nell'ordinato non si formi un valido consenso o manchi una precisa intenzione di diventare sacerdote. In questi casi la Chiesa dichiara che non c'è mai stato un valido conferimento del sacramento dell'ordine. I casi vanno dunque distinti dalla dimissione o dispensa dallo stato clericale di persone validamente ordinate.
La seconda materia è la dispensa nel caso di matrimoni rati ma non consumati. Il matrimonio è assolutamente indissolubile, ma solo nel caso in cui sia stato non solo validamente contratto ma anche consumato attraverso un rapporto intimo fra marito e moglie. Se manca dopo la celebrazione del matrimonio il rapporto intimo, i due coniugi o anche uno solo possono ottenere dalla Santa Sede una dispensa che li scioglie dal vincolo di un matrimonio che pure è stato contratto in modo valido. La base teologica è l'idea che la mancata consumazione impedisca l’attuazione nella sua pienezza del segno sacramentale dell’unione fra Cristo e la Chiesa. La dispensa è un provvedimento di carattere amministrativo che viene concesso dal Pontefice “graziosamente”, cioè come grazia, per cui i coniugi non hanno un diritto soggettivo ad ottenerlo ma una mera aspettativa. La facoltà pontificia di sciogliere il vincolo in caso di mancata consumazione si estende al di là del solo matrimonio tra battezzati; la dispensa si può avere infatti anche nel caso di matrimonio tra un battezzato e un non battezzato.
Il passaggio della competenza per questi casi dalla Congregazione per il culto divino alla Rota Romana ha due scopi, come spiega il Motu Proprio. Garantisce una più rigorosa istruttoria, affidata a una nuova sezione costituita ad hoc della Rota, che eviti abusi in materie delicate. E permette alla Congregazione per il culto divino di concentrarsi, come si legge nel documento, sul suo compito tipico della vigilanza e la promozione della buona liturgia cattolica: del che, come è a tutti evidente, c'è oggi un grande bisogno.

(Fonte: Massimo Introvigne, La bussola quotidiana, 29 settembre 2011)


Angelo Scola, un nuovo faro per una diocesi di grandi santi. Auguri!

Nei momenti in cui la diocesi ambrosiana vive la gioia dell’arrivo di un nuovo Pastore viene spontaneo andare alle radici di quell’aggettivo che la distingue: ambrosiana. Il pensiero va ad Ambrogio, il grande pastore di intensa spiritualità e di formazione laica e civile: caratteristiche che sono rimaste impresse nella fisionomia spirituale milanese. E il pensiero va al grande convertito Agostino che con Ambrogio ha mosso quei primi passi che lo avrebbero portato a diventare il grande Padre della Chiesa.
Fra i tanti meriti di Agostino c’è quello di averci lasciato un capolavoro: le Confessioni. Non un libro di dottrina astratta ma un libro intessuto di relazione esistenziale con Dio, un libro attualissimo che descrive il dramma della resistenza dell’uomo ad aprirsi a Dio. Pagine potenti e mai eguagliate quelle che descrivono la tempesta dell’animo di Agostino in cui le passioni e le frivolezze non vogliono essere congedate, fino al drammatico colpo di scena. La voce del fanciullo che canta: «Prendi e leggi» e la lettura del brano di san Paolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne e le sue concupiscenze».
Da quel momento, da una località milanese, partì un fiume di grazie e di pensiero che giunge fino a noi. L’attuale Pontefice trae ispirazione per la sua straordinaria teologia dall’eredità di Agostino. Milano, città di grandi santi, continuerà ad essere un faro di spiritualità anche col nuovo pastore Angelo Scola, un uomo di fede, che prega, pensa e agisce.

(Fonte: Pippo Corigliano, Tempi, n. 38 del 22 settembre 2011)


Il catechismo positivista e la parabola della pozzanghera

Entro in una libreria. Settore ragazzi. Cerco un libro da regalare. Lo sguardo mi cade su un volume dal titolo accattivante: “Le 50 domande più toste e strambe sulla vita, sull’universo e sul mondo intero”. Promette bene. Autore, Stephen Law. Casa editrice, Vallardi.
Apro a caso e cado a pag. 14. Altro titolo accattivante: “L’universo è stato progettato da qualcuno?”. Chissà se questa, nell’idea dell’autore, è una domanda “tosta” o “stramba”. A me sembra importante, e vado a leggere, incuriosito. Il paragrafo si apre con la constatazione che in natura e nell’universo intero regna un ordine. Si cita, ad esempio, la perfezione dell’occhio umano (mi piace: è un esempio che anch’io faccio spesso). Poi si passa a dire che qualcuno, sulla base di tanto ordine, presuppone l’esistenza di un essere intelligente, di una mente misteriosa che ha progettato il tutto (“qui si vola”, penso, sperando di trovarmi di fronte ad un testo per ragazzi che apre prospettive nuove). Ma la chiusura è sconfortante.
Si cita la storiella inventata dallo scrittore Douglas Adams: una pozzanghera, vedendosi ricolma d’acqua e soddisfatta di questo, deduce che qualcuno ha progettato questo per lei. Si deride la pretesa della pozzanghera e quella di chi crede che il nostro universo così ordinato sia frutto di un intelligent design.
La storiella di Adams viene giudicata “divertente”. Invece è solo di un’infinita tristezza e di un angusto quanto la circonferenza di una pozzanghera. Il libro, in effetti, è una sorta di catechismo positivista che chiude ogni possibile apertura sull’affascinante mistero della natura e dell’universo e quindi, in fondo, deprime anche la ricerca. Ma è chiaro che nella testa di un Douglas, di un positivista, di un ateo radicale, l’uomo non è altro che una pozzanghera.
Peccato, però, che l’esperienza stessa degli scienziati contraddica proprio questa angusta visione. L’autentico uomo di scienza prova proprio uno stupore immenso nel constatare due cose: che c’è un ordine nella realtà e che questa realtà ordinata si fa conoscere da noi. Lo sfortunato bimbo che viene educato sul catechismo positivista non saprà mai niente della straordinaria esperienza che sta dietro questa frase del grande Einstein: “Si può affermare che l’eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità”. Il teorico della relatività ci dice che c’è un mistero inspiegabile (e non da prendere alla leggera con la storiella divertente di uno scrittore): il mondo è comprensibile dalla nostra ragione, quindi è proprio fatto per noi. Poteva non esserlo, sottintende Einstein, e la sua non è la pretesa di una stupida pozzanghera, ma l’ammirata meraviglia di uno scienziato di fronte ad un fatto evidente. Quindi non dovrebbe essere presa alla leggera, come una cretineria, nemmeno la domanda su chi avrà mai fatto una cosa così. E’ una domanda seria, legittima, che merita di essere posta, senza vergognarsi.
Scrive l’astrofisico Marco Bersanelli: “E’ un fatto assolutamente sorprendente che la realtà si lasci conoscere, cioè che l’impresa scientifica nel suo complesso sia possibile. Ciò infatti richiede che non solo vi sia un ordine nella realtà, ma anche che con tale ordine l’uomo (la ragione umana) sia in grado di stabilire un rapporto. La fiducia in un tale ordine accessibile è essenziale per iniziare l’avventura della conoscenza”.
Werner Heisenberg, stupito di fronte ai rapporti interni nella teoria atomica, rifletteva così: “Che questi rapporti interni mostrino, in tutta la loro astrazione matematica, un grado incredibile di semplicità, è un dono che noi possiamo solo accettare con umiltà”.
Ce n’è abbastanza? Possiamo anche citare il fisico teorico Freeman Dyson, che a proposito dei comportamenti dell’elettrone, che danno retta ai calcoli matematici umani, conclude: “Sappiamo che le cose stanno così. Perché poi stiano così, perché l’elettrone dia retta alla nostra matematica, è un mistero che neppure Einstein riuscì a penetrare”.
Ma lo sfortunato figlio del positivismo non dovrà provare alcun sacro stupore di fronte a tutto questo. Dovrà rassegnarsi ad essere una pozzanghera, appagata di quel poco che gli hanno messo in capo. Una pozzanghera e nemmeno pensante. Volete un consiglio? Più che delle parabole di Douglas Adams, nutritevi dei versi di Dante: nel primo canto del Paradiso già ci ha detto quello che la fisica contemporanea (quella seria) ci testimonia.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 28 settembre 2011)


Nel 2011 la Chiesa ha offerto 15 milioni di pasti ai poveri d'Italia dimenticati dallo Stato

Almeno quindici milioni di pasti sono stati distribuiti gratuitamente nel corso 2011 dalla Chiesa attraverso le diverse iniziative di solidarietà, per contribuire ad affrontare le nuove povertà nell’anno della crisi.
La stima viene da Padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico nazionale della Coldiretti, all’incontro «Eucarestia Terra Cibo - Nostalgia di Futuro» ad Ancona nell’ambito del Congresso eucaristico nazionale con la partecipazione del presidente nazionale della Coldiretti Sergio Marini.
Solo tra Milano e Firenze sono distribuiti quasi 2,5 milioni di pasti dalla Caritas che è la più attiva ed è peraltro presente capillarmente in tutta la penisola a partire da Roma, mentre la Comunità di Sant’Egidio tra la capitale, Milano, Bologna e Napoli ne garantisce quasi 1,5 milioni e l’Opera San Francesco 700mila a Milano. A queste - sottolinea il Consigliere ecclesiastico della Coldiretti - si aggiungono le migliaia di iniziative spontanee nate sul territorio da enti, comunità e parrocchie che quotidianamente si impegnano per garantire un piatto caldo ai bisognosi in l’Italia dove colpiti da povertà assoluta sono 3,1 milioni, in aumento del 2 per cento secondo l’Istat.
«Siamo di fronte ad un fiume di solidarietà che molto più delle manovre economiche concorre a contrastare la crisi»- ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che «molto di più potrebbe essere fatto in un Paese come l’Italia a causa degli sprechi viene perso quasi un terzo del cibo commercializzato». Le perdite dovute agli sprechi alimentari ammontano - secondo la Coldiretti - ad oltre dieci milioni di tonnellate e sarebbero sufficienti a nutrire decine di milioni di persone.
Oratori, mense per i poveri, assistenza agli ammalati e agli anziani. La Chiesa, in Italia e nel mondo, fa welfare, fa "Stato sociale", laddove il vero Stato è poco presente o addirittura manca del tutto. Senza l’azione delle parrocchie, dei volontari, la crisi avrebbe fatto sprofondare nel baratro della povertà migliaia di persone. Quelle stesse persone che invece hanno trovato sostegno economico, e morale, proprio grazie agli uomini della Chiesa. Il valore, anche economico che le strutture ecclesiastiche hanno sempre svolto, e non solo nei tempi emergenziali della crisi esplosa nel 2008 negli Stati Uniti che poi ha travolto l’Europa. Agire per fare il bene comune: questa è la missione. Come ha ricordato l'economista Claudio Sapelli. «Ecco il bene comune della presenza delle Chiese, delle Chiese, in un libero Stato e che è incommensurabile. Le chiese fanno ciò che lo stato non potrebbe mai fare se non con costi inimmaginabili e sostituiti dalla forza dell'amore e dal sogno della Redenzione che per il cristiano è la certezza di una teodicea salvatrice».
La Chiesa spende ed opera. E sapete perché tutte le opere di carità della Chiesa avvengono nel silenzio più totale? Vangelo secondo Matteo 6,1-6.16-18: «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa…»
Intanto, la propaganda anticlericale impera. E non vuole ammetterlo.

(Fonte: Sicilia cristiana, 17 settembre 2011)


Il Papa e le fonti del Diritto

Ultimamente, affrontando problemi etici importantissimi, quali quelli riguardanti l’aborto e l’eutanasia, ci siamo alla fine sentiti rispondere da alcuni commentatori che quel che conta è il volere della maggioranza. È stato fin troppo facile osservare che questo criterio è disumano, come dimostrano le decisioni prese dalla maggioranza dei tedeschi negli anni Trenta del secolo scorso.
Fa piacere trovarsi per l’ennesima volta in linea con il Papa, che nel suo discorso al Reichstag (magistrale per sintesi e chiarezza espositiva, oltre che per contenuto) ha affermato: “In gran parte della materia da regolare giuridicamente quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta”. Ed è proprio sulla base di questa convinzione che si sono originate le varie resistenze al Nazismo: per chi resisteva “era evidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era ingiustizia”. Anche se la maggioranza sosteneva il contrario.
Il problema, oggi, è dunque quello di dirci di nuovo cosa è bene e cosa è male, di riconoscere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. E il Papa non si è nascosto che attualmente si fa molta fatica a rispondere. Questo comporta una grande difficoltà nel servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia, che è il compito fondamentale della politica, dei politici. Ma se “togli il diritto, che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?”. Se lo chiedeva già Sant’Agostino. E il Papa ha avuto buon gioco nel ricordare ai deputati tedeschi come il loro stato si sia trasformato, sotto Hitler, in “una banda di briganti molto ben organizzata”.
Perché si esplichi dunque l’esercizio e la difesa del diritto, occorre trovare una bussola, una fonte del diritto. Non se ne esce. E la bussola non può certo essere il volere della maggioranza. Allora? Qui c’è un passaggio del discorso del Papa che fa davvero riflettere: “Contrariamente alle altre grandi religioni, il Cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”.
Ora, che un Papa dica che il Cristianesimo non ha nessuna intenzione di imporre una “repubblica dei santi”, nelle quale ci sia piena identificazione tra legge divina e legge umana, e lo dica in quella sede e con quella chiarezza, è un fatto da considerare con attenzione. E non si tratta di una concessione allo spirito moderno, perché Benedetto XVI si aggancia alla storia del pensiero cristiano, non inventa niente. Un passaggio ulteriore del discorso è di un’evidenza assoluta e forte: “Per lo sviluppo del diritto e per lo sviluppo dell’umanità è stato decisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro il diritto religioso e si siano messi dalla parte della filosofia, riconoscendo, come fonte giuridica valida per tutti, la ragione e la natura nella loro correlazione”.
Teologi cristiani che prendono posizione contro il diritto religioso! È stato davvero così (e infatti lì Occidente ha potuto evitare le degenerazioni islamiche), ma non abbiamo capito, evidentemente, quanto sia rivoluzionario e autenticamente laico il cristianesimo. Ragione e natura come bussola, come punti di riferimento per il diritto. Sembrerebbe tutto chiaro, sembrerebbe qualcosa che va bene per tutti. Ma allora qual è l’ostacolo?
È la mentalità positivista, che si è imposta nell’ultimo mezzo secolo e che riduce tanto la ragione che la natura (le due bussole). Dove vigono le interpretazioni positivistiche di natura e ragione, “le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco”. È saltata, da mezzo secolo in qua, quell’alleanza fra Gerusalemme, Atene e Roma che ha fatto grande la nostra civiltà.
La conseguenza è grave: “Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità”. Che è perfettamente ciò che tutti, se abbiamo un minimo di passione per la verità, possiamo verificare oggi.
Molto discretamente, ma con grande chiarezza, Benedetto XVI invita ad una constatazione: “Quando nel nostro rapporto con la realtà c’è qualcosa che non va, allora dobbiamo tutti riflettere seriamente sull’insieme e tutti siamo rinviati alla questione circa i fondamenti della nostra stessa cultura”. Quando distruggiamo l’ambiente, quando distruggiamo il bambino, quando distruggiamo la vita terminale, quando manipoliamo e congeliamo l’embrione umano, dovremmo onestamente riconoscere che “qualcosa non va”. Ci vorrebbe una passione per la verità più forte del pregiudizio ideologico e scientista.
È in gioco la fonte del diritto, la difesa del diritto. E’ in gioco lo stesso Stato, che non può tornare ad essere una banda di briganti, come già accaduto nel secolo scorso.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 23 settembre 2011)


martedì 20 settembre 2011

Quello sporco affare della fecondazione eterologa

«Se sei una donna alta, attraente, di età compresa tra 20 e 29 anni, contattaci. Potrai guadagnare molto, facendo del bene al prossimo». Coi tempi che corrono, qualcuno potrebbe pensare ad uno scherzo, o all’ennesima trovata sarcastica che ha per oggetto giovani di belle speranze disposte a tutto per un assaggio di notorietà. Invece – ahinoi - la questione è molto più seria, molto più scomoda e forse per questo sapientemente lontana da prime pagine e riflettori.
L’annuncio è infatti il tipico spot delle cosiddette “cliniche per la fertilità” che, per garantire alle 50-60enni il sacrosanto diritto di avere un figlio biologico, sono alla spasmodica e costante ricerca di ovuli freschi e pronti per essere reimpiantati e riutilizzati in un mercato che, da qualunque parte lo si analizzi, fa rabbrividire.
La questione è di stretta attualità nel nostro paese, dove proprio oggi la Consulta è chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’incostituzionalità della legge sulla procreazione assistita nella parte in cui vieta la fecondazione eterologa. A sollevarla sono stati i Tribunali civili di Firenze e Catania che hanno accolto il ricorso di due coppie sterili che chiedevano la possibilità di avere un figlio ricorrendo a quello che definiscono “materiale genetico di un donatore anonimo”.
Oggi il termine “fecondazione eterologa” per qualcuno è diventato un mero baluardo di una libertà da difendere a tutti i costi, mentre per la maggior parte delle persone la questione rimane un nebuloso concetto relegato al complesso campo medico, e quindi marginale. Eppure la questione è tutt’altro che marginale e attraversa i confini della medicina riversandosi nel campo dell’etica per poi debordare nella sfera economica, dato che siamo di fronte ad un’industria che, soltanto negli Stati Uniti, arriva a fruttare 6,5 miliardi di dollari l’anno.
Lo scenario è ben illustrato dal documentario Eggsploitation, uscito lo scorso anno negli Stati Uniti e presto disponibile con i sottotitoli in italiano. Il titolo gioca con i termini “eggs” (ovuli) e “exploitation” (sfruttamento) e attraverso una serie di interviste ricostruisce la trama che si snoda dietro la fecondazione eterologa, raccontando cosa succede alla radice: non quando la coppia sterile se ne va finalmente a casa con il pupo, ma cosa si fa e quanto costa arrivare al “prodotto finito” . Il video è frutto dell’idea di Jennifer Lahl, direttrice del Center for Bioethics andCulture americano. Diretta insieme a Justin Baird, un regista di Los Angeles, l’inchiesta fa luce su un fenomeno che, con la scusa di proteggere la privacy delle donatrici, di fatto getta un alone di silenzio sulle storie di decine di donne che, attratte dalla possibilità di denaro facile, hanno compromesso per sempre la propria salute e, in alcuni casi, hanno perso la vita.
Alexandra trova l’annuncio sul giornale dell’università di Stanford, dove fa la ricercatrice. Ha bisogno di 3000 dollari e non le pare vedo di poterli guadagnare aiutando una donna che non può avere figli: “La procedura è sicura”, legge nell’opuscolo. Mai avrebbe pensato di diventare sterile e ammalarsi due volte di tumore al seno prima di raggiungere i 35 anni. Una sorte simile a quella di Jessica, che però non ha la fortuna di poter raccontare questa storia perché, dopo aver donato i propri ovuli per ben tre volte, non è riuscita a sopravvivere al cancro che l’ha uccisa a 34 anni; o a quella di Carla, che è finita sulla sedia a rotelle dopo che si è lasciata ingolosire dal compenso per i suoi ovuli, circa 25mila dollari.
Le agenzie “reclutano” le donatrici facendo leva sul bisogno di soldi delle studentesse, ma anche presentando questo gesto come estremamente altruista e generoso. “Non c’era niente che dovessi temere, non c’erano rischi, continuavano a ripetermi. E io ci ho creduto”, racconta oggi Jessica che non aveva idea dei trattamenti ai quali sarebbe stata sottoposta. “Innanzitutto ci sono le conseguenze dell’iperstimolazione ovarica, una procedura che aumenta il numero di ovuli prodotti dalla donna sottoponendola a massicci bombardamenti chimici. Essa può portare a perdita di coscienza, disfunzioni ormonali e danni anche permanenti come tumori, o stati comatosi – racconta Suzanne Parisian, ex dirigente della Food and Drug Administration, il corrispettivo della nostra Agenzia del farmaco –. Ma non è tutto, anche l’operazione di estrazione degli ovuli comporta alti rischi per la salute, emorragie, rischio di coma. A queste si aggiungono le patologie conseguenziali alla donazione”.
Sono storie sconosciute, che non trovano spazio sulle pagine dei giornali, in primo luogo perché in queste cliniche non c’è traccia di queste donne. Non esistono registri, schedari, archivi con le cartelle cliniche perché esse arrivano dall’anonimato e dopo il trattamento ripiombano nell’oblio. Nessuno sa di loro, non hanno nome, non hanno storia. Le cliniche si trincerano nel silenzio nascondendosi dietro al “diritto alla privacy”, ma di fatto considerano le donne soltanto come ovaie che camminano.
Quando le conseguenze dell’ipertsimolazione ovarica, o della donazione degli ovuli si manifestano attraverso coliche, nausee, fitte dolorosissime, le cliniche per la fertilità rimandano le donne agli ospedali tradizionali, dove spesso esse mentono, non raccontano cosa è successo loro per timore di essere giudicate, per vergogna.
«All’inizio ho fatto fatica a trovare persone disposte a parlare – spiega Jennifer Lahl – perché le cliniche della fertilità raccontano alle ragazze che la donazione degli ovuli non ha nulla a che vedere con il loro stato di salute, che dipende dal loro corpo. Ed esse si convincono e non parlano. Per fortuna oggi c’è internet, che ci ha messo in contatto e le ha portate a fidarsi di me. Oggi grazie ad Eggsploitation tantissime donne mi scrivono dall’Europa e dagli Stati Uniti rompendo il muro dell’omertà».
Fra le protagoniste di Eggsploitation, qualcuna ha rischiato di morire sola, sul pavimento di casa, qualcun’altra è finita in coma perché si vergognava di chieder aiuto, qualcuna lotta contro il cancro, la maggior parte di loro non potrà avere figli propri. «Siamo di fronte ad una lobby che vuole a tutti i costi dare un figlio a chi non ce l’ha, se può pagare – accusa Josephine Quintavalle, fondatrice del Comment on Reproductuve Ethics, osservatorio britannico sulle pratiche riproduttive da sempre affianto della Lahl nella battaglia per la tutela delle donne–. Non possiamo chiedere alle giovani donne di rinunciare alla fertilità per cercare di assecondare il nostro desiderio tardivo di maternità».
Desiderio che difficilmente viene assecondato poiché, come testimonia il documentario, quasi il 70% delle fecondazioni fallisce. Fallimento che si aggiunge alle gravi conseguenze sulla vita delle donne e, qualche volta, anche del nascituro. Ma questi rischi ci sono anche per la fecondazione omologa? «Sicuramente ci sono cautele maggiori – precisa Jennifer Lahl – Anche se certamente ci muoviamo in un campo molto rischioso, con conseguenze da non sottovalutare. Certamente un conto è affrontare il bombardamento ormonale e le sue conseguenze per il disperato desiderio di avere un figlio proprio, un altro è farlo con la leggerezza di chi va a tagliarsi i capelli, perché è così che te la presentano se sei una semplice e anonima donatrice di ovuli».
Come il documentario testimonia, il rapporto è proprio così: cliente-fornitore. Le donne donatrici vengono zittite con un assegno e abbandonate a loro stesse. Le cliniche nemmeno appuntano il loro nome perché quel nome in nessun caso deve far riferimento ad una fabbrica che per dare un figlio ad una donna ha tolto la possibilità di generare a decine di altre.

(Fonte:  Raffaella Frullone, La bussola quotidiana, 20 settembre 2011)


Umberto Eco, la rana dalla bocca larga, al Papa: “non è un grande teologo”

«Non credo che Ratzinger sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale». Lo ha affermato, a due giorni dall'inizio del viaggio in Germania di Benedetto XVI, Umberto Eco intervistato dal quotidiano tedesco «Berliner Zeitung» in edicola ieri.
«Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane — ha commentato Eco riferendosi ancora a papa Ratzinger — nemmeno uno studente della scuola dell'obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole».
Per argomentare il suo giudizio Eco fa riferimento proprio alla questione del relativismo, che è stata il cuore dell'approccio di Ratzinger al declino della cultura occidentale e in particolare europea. In una risposta diretta al suo intervistatore Eco ha detto: «In sei mesi potrei organizzarle un seminario sul tema. E può starne certo: alla fine presenterei almeno venti posizioni filosofiche differenti sul relativismo. Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto, come se ci fosse una posizione unitaria è, per me, estremamente naïf». Eco, infine, ha fatto anche un paragone con Giovanni Paolo II, sostenendo che dopo papa Wojtyla era difficile per Ratzinger essere una «big star».
«Naturalmente Eco è un grande filosofo ed un grande teologo!», commenta con una punta d'ironia Jorg Bremer, vaticanista della «Frankfurter Allgemeine Zeitung», che pochi giorni fa ha intervistato il Papa a Castelgandolfo. «Sono stato da Sua Santità e ho visto in anteprima insieme all'editore Manuel Herder la mostra che, organizzata con la Libreria editrice Vaticana, per la prima volta mette insieme le copertine di 600 diverse edizioni di opere pubblicate in 25 paesi nei 50 anni di attività scientifica dal teologo Joseph Ratzinger, un'esposizione che si sposterà presso la sede della casa editrice a Friburgo, in occasione della visita che il Papa compirà in Germania da giovedì a domenica. Mi chiedo: è questo il teologo e il filosofo con un'educazione troppo debole?». Bremer, che pure è di religione protestante, sostiene «che i due pilastri del pensiero di Ratzinger sono da una parte la teologia del dogma cattolico, dall'altro il metodo e la ratio di Platone» (il quale combatté tutta la vita per demolire l'edificio relativista dei sofisti e sostituirlo con un sistema che rendesse possibile una conoscenza certa).
La lotta contro il relativismo e le sue conseguenze che rendono «senza radici» la costruzione dell'Europa è stato il leitmotiv di tutto il pontificato di Ratzinger che già il 18 aprile 2005 nell'omelia della Missa pro eligendo Pontifice affermava: «Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» (Maria Antonietta Calabrò, Corriere della Sera, 20 settembre 2011)

«Ma come annoiano questi ex: ex cattolici, ex presidenti di Azione Cattolica… A volte si direbbe che sono così pieni di sé che persino puzzino.
L’ultima esternazione di Umberto Eco, a proposito di Benedetto XVI, ha passato il segno. Per lui non è né buon teologo né tantomeno buon filosofo. E dovrebbe imparare da lui, il vero pozzo di scienza, dalle infinite qualità. Rileggendo le parole della sua intervista, mi è venuta in mente quella storiella della rana dalla bocca larga, che non solo è vanitosa, ma alla fine anche codarda. È un peccato quindi che il nostro cada (soprattutto in questo caso, più che in tantissimi altri) nel vizio terribile dei presuntuosi: è incapace di riconoscere il valore di chi pensa diversamente da sé. E invece di sapersi confrontare, per comprendere le ragioni dell’altro, non sa fare di meglio che negargli la qualità di interlocutore. Vecchia tattica, segno, purtroppo, di meschinità». (Gabriele Mangiarotti, La rana dalla bocca larga, Cultura Cattolica, 20 settembre 2011)

(Mario, 20 settembre 2011)



Cattolici adulti o adulterati? Povera Rosy: senescenza incombe!

È interessante navigare in internet, anche perché si possono trovare affermazioni come queste.
[…] In un convegno di Agire politicamente, l’on. Rosy Bindi (che qui ricordiamo soprattutto come ex dirigente nazionale dell’AC) ha riassunto in modo ancora più chiaro i termini della nostra questione. «Non c’è più il dissenso degli anni 70 - ha detto testualmente -, ma c’è un disagio fortissimo, da parte di tutti i cattolici pensanti, che non sono coloro i quali credono che la fede si affermi a colpi di crocifisso da inchiodare sulle pareti degli uffici pubblici o delle aule scolastiche. Occorre però uscire dal disagio, recuperando le fondamenta evangeliche della nostra vita, altrimenti rischiamo di cadere nelle contraddizioni della religione civile, in cui gli atei devoti sono molto più bravi di noi... Occorre dire ai nostri vescovi di riprendere in mano il percorso abbandonato del concilio Vaticano II, di lasciare perdere i “valori non negoziabili” perché in politica bisogna negoziare per raggiungere sintesi migliori e perché quell’ambito spetta ai laici, che non possono subire scomuniche perché si inoltrano nella difficile arte della mediazione» (chiesacattolica.it/cci_new/documenti_diocesi).
«Giù la maschera!» – verrebbe da dire – «L’abbiamo fatto!» – sembra essere la risposta.
Come è possibile pensare che ciò che viene definito da Benedetto XVI «valore non negoziabile», attraverso giochi di prestigio mentali, poi debba diventare, secondo una accezione ridotta del pensiero, un «valore negoziabile»? e mi rifaccio al documento Sacramentum caritatis in cui si passa dalla espressione Principi non negoziabili a quella attuale: «Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme.(230) Tali valori non sono negoziabili.» (SC 83)
A dire il vero ho sempre pensato che quando il Papa si esprime, la sua non sia una semplice opinione da mettere accanto alle altre, e tanto meno, da contestare, ma sia principio da cui partire. Non si dà qui alcuna forma di «cattolicesimo adulto» ma di «cattolicesimo adulterato». Così ci ricorda ancora Benedetto XVI: «Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”».
Alla faccia di Rosy Bindi e di tutti coloro che l’articolista ha citato. Siamo tutti preoccupati delle sorti del nostro mondo, del Paese, dell’umanità: forse se i cattolici (senza distinzioni tra pensanti – Rosy Bindi e la sua cricca? – o no) riprenderanno in mano l’autentica Dottrina sociale cristiana, quella che il Magistero pontificio ha sempre sostenuto, si potrà sperare in un bene per tutti. Noi siamo al servizio della Chiesa così vissuta e pensata.

(Fonte: Gabriele Mangiarotti, CulturaCattolica.it, 17 settembre 2011)


Foto e video hard in difesa degli animali e della dieta vegetariana

La difesa degli animali dalle violenze degli umani, si sa, è un argomento che raccoglie molti consensi. Anche un sito porno, però, fa la sua parte quando si tratta di attirare le persone. Che cosa potrebbe ottenere, in termini di visite e visibilità, si intende, un bel sito per adulti che unisca foto e video hard con immagini provocanti sulle violenze contro gli animali?
Lo sapremo presto, visto che l'esperimento diventa realtà grazie a Peta, associazione animalista famosa per le sue campagne pubblicitarie, accusate di sfruttare il corpo delle donne per difendere gli animali. Per saperne di più, chiedere a Pamela Anderson o Elisabetta Canalis, che si sono prestate a servizi fotografici senza veli pur di aiutare gli amici a quattro zampe. L'associazione ha deciso di approfittare dei nuovi domini ".xxx", che saranno in vendita su Internet a partire da gennaio 2012. E l'idea di Peta potrebbe rivelarsi vincente dal punto di vista commerciale e delle visite.
Sorge però qualche dubbio, quando si leggono gli scopi dell'associazione. Non sembra infatti molto probabile che un qualunque utente, dopo una bella carrellata di video e immagini spinte, si fermi a «riflettere» sulle violenze inflitte agli animali, secondo i desiderata di Lindsay Rajt, direttrice delle campagne pubblicitarie di Peta. Ancora più arduo credere che, dopo le prime "portate" a base di carne femminile e maschile avvinghiata in pose pornografiche, l'internauta «passi a una dieta vegetariana».
Se è difficile credere che tante persone si convertano al dio verdura, folgorati su una via di Damasco a luci rosse, è più facile immaginare come Peta riuscirà ad associare i filmati porno alle ricette per vegetariani e vegani.
I movimenti a difesa dei diritti delle donne sono insorti per protestare contro l'iniziativa, sono nati fior fior di gruppi su Facebook per denunciare il fattaccio, la democrazia 2.0 si è mobilitata in massa per gridare contro chi vuole svilire il corpo delle donne. Tanto casino per una cosa abbastanza risaputa: i vegetariani non mangiano la carne di maiale, ma ai maiali piacciono le vegetariane.

(Fonte: Tempi.it, Attualità, 19 settembre 2011)

Uno sfregio a padre Pio

Sono milioni ogni anno i pellegrini che si recano a San Giovanni Rotondo. E negli ultimi tempi si trovano davanti a sorprese che lasciano sconcertati, nel nuovo edificio di Renzo Piano dove è stato portato il corpo di san Pio. Per esempio i mosaici (che a me non piacciono) realizzati da Marko Rupnik proprio per il sepolcro del Padre. In tutto il ciclo delle raffigurazioni c’è una testata giornalistica italiana che viene mostrata e di conseguenza viene – per così dire – pubblicizzata. Una sola: “l’Unità”.
Èdavvero molto sorprendente perché nel mosaico si vede padre Pio che addirittura benedice una tizia che ha in mano appunto “l’organo del Partito comunista italiano”.
Il messaggio inequivocabile è quello di una benedizione alla stessa “Unità” e all’appartenenza comunista.
O comunque di una sua irrilevanza agli occhi di padre Pio. La didascalia – come vedremo – fornisce proprio questa interpretazione.
Bisogna tenere presente cosa era l’Unità e cosa era il Pci di Togliatti e Stalin ai tempi di padre Pio.

Sulle pagine del giornale comunista ovviamente venivano magnificate quelle dittature dell’Est che martirizzavano la Chiesa. E venivano propalate le tipiche menzogne del comunismo internazionale.
Quando, nel 1953, morì Stalin, uno dei più sanguinari carnefici della storia umana, l’Unità titolò così, a tutta prima pagina: “Stalin è morto. Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell’umanità. Onore al grande Stalin!”.
L’editoriale dell’Unità era il testo del Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione sovietica. Vi si leggeva: “Il nome immortale di Stalin vivrà per sempre nel cuore del popolo sovietico e dell’umanità amante del progresso. Evviva la grande e invincibile dottrina di Marx, Engels, Lenin e Stalin! Evviva il grande Partito Comunista dell’Unione Sovietica!”.
Poi veniva riportato la servile sviolinata di Togliatti, nel 1949, per il compleanno del feroce tiranno. Padre Pio conosceva bene l’orrore e le stomachevoli menzogne del comunismo che aveva imposto l’ateismo di stato con stragi e regimi di terrore.
E’ ben noto che per lui l’adesione al Pci non era un’idea politica da discutere, ma un peccato mortale da confessare davanti a Dio e di cui pentirsi e ravvedersi. Senza se e senza ma.
Come ricordava quel comunista di Cerignola che andò a confessarsi dal padre, nel dopoguerra, e quando terminò l’elenco dei suoi peccati si sentì dire: “E quella tessera che tieni qui, non ti dice niente?”.

Lui rispose: “Oh, Padre è per il lavoro”. “E il lavoro te l’hanno dato? Hai tradito il Signore tuo Dio e ti sei messo tra i suoi nemici”, tuonò il padre.
Ancora più movimentato fu il caso di un comunista di Prato, l’esplosivo Giovanni Bardazzi che padre Pio nel 1949 cacciò via dal confessionale e che – per ripicca – andò a un’udienza di Pio XII cominciando a strillare che padre Pio l’aveva cacciato.

Giovanni Bardazzi divenne poi uno dei figli più ardenti di padre Pio e non solo rinnegò la sua militanza comunista, ma andò a cantarle chiare ai suoi ex compagni e poi per anni e anni, ogni settimana, convogliò tanti di loro, un fiume di persone, a San Giovanni Rotondo.
Si può dire che padre Pio sia stato il più straordinario convertitore di militanti comunisti dell’Italia del dopoguerra, perché aveva capito benissimo quello che fior di intellettuali cattolici e laici non capirono: che cioè non era una faccenda politica, ma che si trattava di essere con Gesù Cristo o contro di lui. E il comunismo era ferocemente contro Cristo. Perciò anche contro l’uomo.
Fra le storie di conversione di militanti comunisti, la più sorprendente fu forse quella del medico francese Michel Boyer, un famoso eroe della Resistenza francese. Una della più commoventi fu quella di Italia Betti, la “pasionaria” dell’Emilia. Durante l’occupazione nazifascista fu membro del CLN di Bologna e la si ricorda, il giorno della liberazione, entrare a Bologna, alla testa delle truppe partigiane, con una bandiera rossa in pugno. Nel dopoguerra, alla guida di una moto, diffondeva nelle campagne il verbo del partito con grande zelo. L’incontro con padre Pio, nel 1949, capovolge la sua vita. Nel dicembre lascia Bologna per andare a vivere a San Giovanni Rotondo suscitando grande clamore tra i compagni che cercarono di dissuaderla.
Considerando tutti questi episodi quell’immagine con “l’Unità” al centro risulta del tutto fuorviante.
Ho dunque telefonato a un’importante personalità di San Giovanni Rotondo, che ha voce in capitolo, per capire il motivo di quel mosaico e mi sono sentito rispondere proprio questo: “ma è un’immagine che vuole ricordare le tante conversioni di comunisti avvenute tramite padre Pio, come quella di Italia Betti”. Sì, ho obiettato, ma in quel mosaico “l’Unità” non giace a terra, come segno di un passato ripudiato e di una conversione, ma sta fra le mani della persona che viene benedetta dal Padre, come una militanza mai abbandonata e legittimata.
Inoltre sotto il mosaico c’è questa incredibile didascalia: “Padre Pio benedice le donne e gli uomini di cultura. Il padre spirituale sa accogliere senza pregiudizi tutti quelli che a lui si rivolgono”.
Non si parla di “conversione”. Anzi, si attribuisce al Padre una “mancanza di pregiudizi” per dare ad intendere che a lui il credo marxista e la militanza comunista non facevano alcun problema.
Il mio interlocutore è parso sorpreso e ha detto che quella didascalia andrà corretta. Non so se sarà corretta, ma di certo non è un incidente. Riflette tutta una mentalità che è esattamente agli antipodi di quella di padre Pio.
Una mentalità per cui è proibito usare sia la parola “comunismo” che la parola “conversione”. Sostituiti da “dialogo” e “senza pregiudizi”.
Lo dimostrano due mosaici lì vicino. Nel primo, a fianco di quello descritto, si vede padre Pio che in bilocazione va a trovare il cardinale Mindszenty carcerato. La didascalia recita: “San Pio porta il pane e il vino al cardinal Mindszenty prigioniero”.
Prigioniero di chi? Dell’anonima sequestri? No. Il primate fu incarcerato dal regime comunista ungherese, ma ovviamente lì non c’è scritto. E ben pochi pellegrini lo ricordano.
L’altro mosaico è il quadro della vita di san Francesco che vorrebbe essere il corrispettivo dell’immagine di padre Pio con la militante comunista: Francesco che durante la crociata va dal Sultano per convertirlo alla fede cristiana.

Convertire non è un verbo “politically correct”. Che san Francesco e padre Pio vivessero letteralmente per salvare anime, quindi per annunciare Cristo a tutti (compresi musulmani, comunisti o massoni) e quindi per convertire tutti a Gesù Cristo, nella mentalità clericale corrente (espressa da Rupnik) sembra assolutamente un tabù. Indicibile.
Infatti nel sito internet del Centro Aletti, di cui è direttore proprio il pittore Rupnik, nella riproduzione dei suoi mosaici, sopra l’immagine di Francesco dal Sultano, si legge questa considerazione: “San Francesco, da uomo libero, non agisce secondo i pregiudizi e affascina persino il sultano con la sua predicazione. E, come dice san Bonaventura, è tornato in Italia triste non perché non abbia convertito il sultano, ma perché questi lo ha persino difeso e Francesco non è potuto diventare martire”.
Dove san Bonaventura lo abbia scritto non è dato sapere. In realtà nella “Legenda Maior” di Bonaventura, al capitolo IX, dove si racconta l’episodio, si legge che Francesco chiede al Sultano “con il tuo popolo di convertirti a Cristo” e di “abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo”. E’ lì per questo e lo ripete al Sultano, pronto a subirne ogni conseguenza. San Francesco, come padre Pio, non era “politically correct”. È noto che a Maglie c’è la discussa statua di Aldo Moro con l’Unità sotto il braccio. Ma che in una chiesa, nel sepolcro di un santo, si rappresenti padre Pio che benedice la militante con l’Unità in mano è decisamente troppo.

(Fonte: Antonio Socci, Libero, 11 settembre 2011)

giovedì 15 settembre 2011

Matrimonio gay. Citare la costituzione è da rozzi. Ma noi siamo rozzi!

“Il matrimonio com’è previsto dalla Costituzione del nostro Paese, se non la si cambia, è l’unione tra persone di sesso diverso. Finalizzata alla procreazione. Tra l’uomo e la donna”. Così disse Massimo D’Alema alla festa del Pd di Ostia. Ed è venuto giù il mondo: associazioni di omosessuali, l’onnipresente Paola Concia, politici del Pd, tutti a sparare sul povero D’Alema, reo di aver leso i diritti degli omosessuali, di aver pronunciato “affermazioni talmente rozze da risultare incredibili” (Arcigay), e via di questo passo. Al punto che dopo poche ore, lo stesso D’Alema è tornato sui suoi passi chiedendo “scusa se ci sono stati riferimenti rozzi al dettato costituzionale” e negando di sostenere che “la Costituzione proibisce il matrimonio tra omosessuali, cosa che peraltro non urta la mia sensibilità”.
Ora chiunque può constatare che la seconda dichiarazione di D’Alema, riguardo a cosa prescrive la Costituzione in materia di matrimonio, è esattamente l’opposto della prima. E questo già la dice lunga su chi comanda davvero in Italia, su chi detta l’agenda politica, sulla vera forza delle lobby gay capaci di far prostrare un leader politico di primo piano come D’Alema (ah, questi politici così fermi nei princìpi).
E al proposito vale la pena sottolineare che nel suo intervento D’Alema aveva comunque appoggiato in tutto e per tutto le rivendicazioni del movimento gay, eccetto il matrimonio: ma solo perché escluso dalla Costituzione e perché offenderebbe "una parte di italiani che lo considerano un sacramento". Ma siccome si parlava di possibile alleanza con l’Udc, il discorso di D’Alema era chiaro: il matrimonio gay non va messo nel programma di governo perché altrimenti l’Udc non potrebbe entrare nella coalizione, e comunque nulla vieta di portare la questione in Parlamento. Inoltre, D’Alema ha anche accusato di omofobia una parte del mondo cattolico (e quale sarebbe questa parte, on. D’Alema?).
Quindi, ad onor del vero, D’Alema non si è detto contrario per principio al matrimonio gay, ne ha fatto una questione di opportunità politica, e comunque ha fatto una semplice constatazione quanto al dettato costituzionale. E’ questa che ha provocato una reazione isterica delle lobby gay, ed è su questo punto che vorremmo soffermarci, perché stiamo parlando di uno schieramento politico che in questi anni ha trasformato la Costituzione del 1948 in una sorta di totem, sempre pronti a gridare allo scandalo se qualcuno parla di riformare degli articoli. Ma chissà perché quando si parla di famiglia – ma anche di libertà di educazione – la Costituzione non è più sacra: non si chiede neanche di riformarla, ci vorrebbe troppo tempo, si decide semplicemente di ignorarla e procedere come se non ci fosse.
E guai a chi ne cita gli articoli indesiderati, come è successo a D’Alema. Il quale non ha inventato nulla, ha semplicemente detto cosa c’è scritto. Recita infatti l’articolo 29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”. E l’articolo 30 descrive così il ruolo sociale dei genitori: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. E poi, ancora all’articolo 30 e 31 si parla di paternità e maternità. Ebbene sì, la nostra Costituzione riconosce una sola famiglia come società naturale, quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, e lo fa nell’interesse primario dei figli, tale che questi vanno tutelati anche se nati fuori dal matrimonio. E in questo non c’entrano né sacramenti né religioni, è solo un problema di riconoscere il bene della società.
Perché per questi Guardiani della Costituzione citare asetticamente un articolo della stessa Costituzione costituisce “affermazione talmente rozza da risultare incredibile”? E perché D’Alema si rimangia le parole scusandosi per i “riferimenti rozzi al dettato costituzionale?”. Lo si può spiegare solo con la forza di una ideologia cieca e violenta, che nega perfino il diritto di citare un articolo della Costituzione, figurarsi esprimere una libera opinione.
Allora noi vogliamo essere rozzi fino in fondo e citiamo anche l’articolo 31: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia (quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ndr) e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. Ci sono già 63 anni di ritardo nell’attuazione di questo articolo. Vogliamo pensarci?

(Fonte: Riccardo Cascioli, La bussola quotidiana, 15 settembre 2011)


Azione legale contro il Papa. Ultima aberrazione di uomini scriteriati

Sono crimini contro l'umanità. Per un gioco del destino, nemmeno trop­po imprevedibile, il Papa rischia di trovarsi accanto a Hitler, a Mengele. Gli avvocati americani rappresen­tanti di due associazioni in difesa del­le vittime delle violenze sessuali dei preti hanno depositato il loro enor­me memoriale presso il Tribunale dell'Aia. Quello che sarà poi non si sa, nel frattempo però gli avvocati hanno fatto il loro dovere. C'è in tutto questo qualcosa di orripilante, che va oltre il grottesco di una denun­cia ai danni del successore di Pietro. È di questo orrore, capace di far driz­zare i peli sulla schiena, che voglio dar conto.
Siamo in America, dove vige una legge non scritta, indirizzando spesso quelle scritte. È la legge della visibilità. Secondo questa legge, la forza di un'associazione ­per fare un esempio- dipende dalla sua ca­pacità di far parlare di sé. Un'associazione delle vittime di abusi sessuali sarebbe trop­po vaga, ci vorrebbero studi di avvocati trop­po grandi, con troppe sotto-specializzazio­ni.
Se si vogliono far le cose in modo brillan­te, rapido e visibile, meglio definire bene il nemico. Il taglio dell'inchiesta deve andare di pari passo con la sua comunicabilità. Vit­time di abusi, ok, ma da parte di chi? Di elet­tricisti? Di taglialegna? Di impiegati pubbli­ci? Di avvocati? Molto meglio i preti, e fra tut­ti preti meglio quelli cattolici, così da coin­volgere la Chiesa intera: così si ottiene visi­bilità. La Chiesa, inoltre, non mette paura fi­sica: non arma eserciti, non tira bombe, non fomenta il terrorismo, aiuta i poveri e i bisognosi, assiste gratuitamente i malati, porta una parola di speranza a chi l'ha per­sa.
È facile attaccare la Chiesa, anche se è dif­ficile vincerla, togliendo di mezzo le verità scomode che annuncia instancabilmente, e che fanno - quelle sì - molta paura: che la vita non ci appartiene, che siamo deboli e mortali, che non porteremo con noi nulla di quello che abbiamo accumulato sulla ter­ra, che siamo poveri e nudi, che il senso del­la nostra vita non ce lo daremo mai da noi stessi, tanto che Dio si è scomodato a nasce­re e morire per accendere una luce di spe­ranza nel mondo. Certo, se si potesse mette­re a tacere quella voce così odiosa! Se potes­simo coltivare in pace il nostro sogno di on­nipotenza e immortalità!
Colpisce, nel nostro caso, non tanto il ten­t­ativo di incriminare il Papa e altri tre Cardi­nali, quanto il disorientamento umano to­tale di chi ha intrapreso questa azione. L'idea che la giustizia risieda nella lettera della legge, nella legge come tale, è il segno di uno stordimento antropologico senza precedenti. La legge, che dovrebbe servire il bene dell'uomo ed essere usata perciò con intelligenza, come tutti gli strumenti preziosi, si trasforma - in mancanza di altri punti cardinali -in una specie di divinità ti­rannica, in un Moloc al quale sacrificare ogni altra istanza.
Il tema in gioco non è, qui, gli abusi ses­suali patiti da giovani ad opera di uomini di chiesa: delitti terribili, sui quali la Chiesa ha dimostrato tutta la volontà di fare luce, e sui quali il Papa ha speso più volte parole com­moventi, fino all'incontro che ebbe con al­cune delle vittime. La posta in gioco, qui, è la criminalizzazione della Chiesa Cattoli­ca. Pensiamo bene, prima di dare ragione a questa gente, in nome di cosa il Papa do­vrebbe essere trattato da criminale: non in nome di una vita migliore, ma in nome del­la legge umana trasformata in divinità, con gli avvocati in veste di preti e i magistrati in veste di esegeti.
Alla radice di questi atteggiamenti vedo solo un uomo che ha smarrito ogni valore, cinicamente deciso a trarre vantaggio da tutto, anche dalle proprie sofferenze e dalle proprie difficoltà. Quest'uomo è la cosa che mi fa orrore più di tutte le denunce contro la Chiesa.
Ma da un uomo così è lecito aspet­tarsi (per fortuna) anche qualche solenne scivolone. Bisognerebbe per esempio ricor­dare a quegli avvocati americani che il loro Paese non ha mai firmato il protocollo di le­gittimazione del Tribunale dell'Aia, perciò detto tribunale non è competente per l'af­fronto del caso, e sarebbe perciò un autenti­co scandalo se decidesse di prenderlo in esame. In ogni caso, non bisogna avere pau­­ra di affrontare la verità, e io so che la Chiesa lo farà, come lo fece Gesù Cristo. L'impor­tante è poterlo fare in un tribunale compo­sto d­a uomini decisi non già a far valere a tut­ti i costi il proprio punto di vista, ma a stabili­re- anche contro i propri convincimenti- la verità dei fatti.

(Fonte: Il Giornale, 14 settembre 2011)